Quanto sia importante la figura di Richard Burton, in qualità di pionere (tra l'altro) nello studio della protostoria del Carso e dei suoi castellieri, è cosa nota ai lettori di questo blog.
Peraltro, si tratta di un personaggio che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni: esploratore, orientalista, studioso, storico, scrittore, traduttore... una di quelle figure poliedriche che solo l'800 ha saputo donarci.
Per ricordare la sua lunga permanenza a Trieste, è stata allestita una mostra documentaria: LE MILLE E UNA STORIA DI SIR RICHARD BURTON (1821-1890) - Vita nomade e fine triestina di un inglese d’oriente
La mostra (a cura di Riccardo Cepach e Michael Walton) è visitabile presso il Civico Museo Sartorio, Largo Papa Giovanni XXIII, 1 dal 21 ottobre al 21 novembre 2010.Orario: dal martedì alla domenica dalle ore 9 alle ore 13, mercoledì anche 15-19, lunedì chiuso
Ingresso libero
E' disponibile on-line il depliant illustrativo.
raccolta di curiosità, segreti e misteri (piccoli e grandi), scoperti girovagando a caso per il Carso triestino
lunedì 25 ottobre 2010
domenica 24 ottobre 2010
Dagli appunti di Alberto Puschi: Trieste Obcina - antichità e strade
Eccovi la trascrizione integrale di un'altro foglio di appunti di Alberto Puschi.
La prima pagina è priva di data, mentre quella successiva di "aggiunte e correzioni" porta la data del 31 maggio 1901.
Meritano di esser letti con attenzione, perché contengono molti spunti di ricerca degni di essere approfonditi...
Potrebbe trattarsi dell'ultima testimonianza di un piccolo castello medievale (o, più probabilmente, di un tabor), per il resto cancellato dalla memoria.
Seguono quindi alcune mie note, conseguenti anche ad una breve ricognizione sul campo.
Qui terminano gli appunti.
La nota più interessante è quella della fortificazione (probabilmente un tabor) sulla vetta del Selevec (oggi riportato sulla CTR come "Selivec").
La zona è stata letteralmente devastata nell'ultimo secolo da un'isteria di impianti: l'acquedotto, numerose linee elettriche (di alcune, ormai dismesse, si intravedono nel bosco solo i basamenti dei tralicci), ed a completare l'opera recentemente anche un'antenna per telefonia cellulare.
La vetta del Selevec/Selivec in particolare è completamente occupata dagli impianti dell'acquedotto (che sono anche recintati). Probabilmente, il tabor è stato completamente demolito e le pietre riutilizzate per le massicciate che circondano l'impianto.
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Anche delle murature che correrebbero lungo la cresta, descritte dal Puschi, non sono rimaste tracce evidenti. Certamente, alcuni raggruppamenti di pietre nel bosco in ordine un po' meno casuale di quanto ci si potrebbe aspettare lasciano immaginare che qualcosa ci sia stato... soprattutto la zona attorno alla vetta dello Hrib è ricca di ammassi di rocce che appaiono non esser frutto solo di un capriccio geologico... però anche questa zona è stata pesantemente lavorata, ed i rimboschimento rende il terreno molto meno "leggibile" di quanto non fosse all'epoca del Puschi (quella volta la zona doveva essere completamente brulla e spoglia).
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Il fatto che questo fortilizio fosse di "pietre tagliate" fa pensare a qualcosa di più di una semplice "fortificazione spontanea"; anche le dimensioni, abbastanza considerevoli (un quadrato di trenta metri di lato) potrebbero indicare che si trattava di qualcosa più di un tabor.
La posizione, indubbiamente "importante", lascia ragionevolmente supporre che in passato vi sia stato quasi certamente un castelliere, e forse anche un fortilizio romano. Questo potrebbe poi esser stato riadattato in epoca medievale, ed usato come tabor. Questo spiegherebbe anche la presenza, almeno nella parte più bassa delle mura (viste dal Puschi), di "pietre tagliate".
Il muraglione doppio e parallelo, che formava un corridoio largo due metri lungo due lati, probabilmente era un pasaggio forzato per meglio difendere l'accesso.
Non è chiara la funzione del lato semicircolare verso sud-est: forse il piede di una torre?
Allo stato attuale dei luoghi, non credo che sia più possibile alcuna indagine che possa fornirci indicazioni più attendibili.
Alcune note per aiutare chi voglia orientarsi in una ricerca "sul campo":
La prima pagina è priva di data, mentre quella successiva di "aggiunte e correzioni" porta la data del 31 maggio 1901.
Meritano di esser letti con attenzione, perché contengono molti spunti di ricerca degni di essere approfonditi...
Potrebbe trattarsi dell'ultima testimonianza di un piccolo castello medievale (o, più probabilmente, di un tabor), per il resto cancellato dalla memoria.
Seguono quindi alcune mie note, conseguenti anche ad una breve ricognizione sul campo.
Trieste Obcina - antichità e strade
Presso il cimitero del villaggio vedonsi dei solchi impressi nel sasso di una strada che dirigevasi, a quanto sembra, alla volta di Bane e doveva esser ancora più elevata della vecchia strada, detta Goriziana, sulla china (?) dei monti che prospetta il Carso. I solchi distano m. 1.25 l'uno dall'altro.
A destra della strada Obcina-Repentabor, dopo passata la linea ferroviaria e prima di raggiungere la depressione di Percedol, in prossimità alla strada scorgonsi in un sentiero campestre i solchi di antica strada distanti l'uno dall'altro m. 1.25 nella direzione di Greco a Libeccio, in modo che questa strada o si univa o attraversava l'attuale.
Dall'obelisco verso Maestro il primo monte della costiera è detto Selevec e dividesi in tre sommità, delle quali più alta è quella ove fu costruita la vedetta Ortensia. Recandosi da Obcina all'estremità occidentale di questo monte, ove una sella lo divide dall'altro detto Hrib, si scorgono le fondamenta di una muraglia grossa circa m. 1 che dal monte dirigesi verso il cosiddetto bosco Volpi, e viene a trovarsi a S.SOv. di Repentabor.
La sella tanto sulla china del Selevec, quanto su quella dello Hrib presenta avanzi di muraglie, che da quanto si scorge sono costruite senza cemento, che sono orientate da Scirocco a Maestro, et unite con altre da Greco a Libeccio, tutte di grosse pietre tagliate, le quali racchiudono degli spazi quadrilateri. Questi avanzi di costruzioni si protendono sino al punto ove il monte precipita a scendere ripido verso il mare.
Rimarchevole è una muraglia la quale da questa sella percorre il Selevec sul lato che prospetta il mare, in direzione di Ponente a Levante grossa da m. 1.30 at 1.50, sino alla sommità maggiore della vedetta. Alla quale sono addossati (sic!) altre costruzioni, una delle quali sembra di forma semicircolare e pare sia di una torre, mentre le altre comprendono degli spazi quadrangolari, abbastanza vasti.
Vi trovasi anche qualche pezzo di laterizio romano.Gli edificiI muri scarseggiano (?) nella parte occidentale del monte, preponderantemente (?) da quella parte che guarda a manca (?), mancano invece quasi affatto sulle due sommitàmaggioriorientali, ove invece troviamo una cinta murale, come di un castellaro alla quale si unisce la muraglia principale, che vista alla superficie sembrerebbe costruita di grosse pietre non tagliate. La china che fronteggia il mare è detta Reber (?). Dalla parte opposta verso il villaggio, alle falde del monte si ravvisano ancora i segni d'un lungo muro, che da questo mi dissero corre più in là dell'Obelisco sino alla contrada di Padrich, detta [illeggibile].
A sinistra del sentiero Stefania, andando a Prosecco, pochi passi sotto havvi un sitto detto Romankova Ronna, prato romano ove furono trovati e in terra si trovano laterizi romani, embrici e rottami di vasi.
Frequenti sono in tutti questi paraggi le tracce di antiche cal[illeggibile - presumibilmente calcinaie], nelle quali certamente si sarà consumata una parte del materiale di queste rovine. Questo prato è inclinato a destra [?] strada di Stefania s'estende per circa cento metri sul pendio del monte, il quale tutto all'intorno è distinto col nome di Reber (costruzioni).
Presso Obcina sarebbe stato rinvenuto un martello di pietra verde, che la guida Antonio Vremez mi disse di aver donato a certo Vichichi impiegato del dipartimento forestale della luogotenenza di Trieste.
Presso Contovello sotto la via Vicentina havvi località con rovine di case, che viene appellata Starasello. La chiesa di Obcina è consacrata a S. Bartolomeo, gli abitanti anticam. recavansi alla solennità di S. Giovanni di Duino.
21 maggio 1901. Aggiunte correzioni:
Circa trenta metri a N. Ov. del punto trigonometrico, havvi uno spazio piano cinto di muraglia grossa più d'un metro (metro 1.20), conosciuta col nome di Šanza [?] (Sehanze [?]), il quale ha la forma di un quadrilatero col lato che prospetta la sommità arrotondato, come l'abside di una chiesa. I lati retti sono lunghi trenta metri, quello che prospetta a marina [?] è semplice, laddove quello volto verso la villa e l'altro opposto al curvo sono doppi, consistenti di due muraglie d'eguale grossezza parallele e distanti l'una dall'altra due metri. La direzione di questi muri è da maestro a scirocco e da greco a libeccio. Sono formati di pietre tagliate, ma da quanto vedesi alla sommità senza cemento.
La grande muraglia sul dorso del Selevec comincia sotto questo fortilizio nella sella che unisce la vetta di scirocco, che è la più alta, colla vetta mediana e si estende oltre le due vette di maestro sino alla sella che congiunge questo monte col Hrib. Il terriccio non è nero, pochi sono i rottami, i quali, per quanto osservai, mi sembravano di genere medievale. Converrà fare altre indagini, gli abitanti dicono che questo fortilizio fu costruito a difesa contro i Turchi. Recandomi alla sella tra il Hrib ed il Selevec osservai chiaramente distinta la linea di una strada che conduceva diretta da oriente a ponente fino ai casolari che colà ancora si scorgono, presso i quali il terriccio è nero. Probabilmente da qui si scendeva al prato romano sul quale nei giorni 30 e 31 di maggio feci praticare degli assaggi su d'una superficie di ben 400 m.q. trovando innumerevoli rottami di anfore, vasi e tegole di laterizio romano fra cui un pezzo di collo colla marca [...], una fusaiuola, qualche pezzo di pietra arenaria tagliata (il terr. è calcare e la roccia s'incontra a 30 cm.-40 cm. di fondezza) ma nessuna traccia di costruzione e nemmeno calcinacci.
Qui terminano gli appunti.
La nota più interessante è quella della fortificazione (probabilmente un tabor) sulla vetta del Selevec (oggi riportato sulla CTR come "Selivec").
La zona è stata letteralmente devastata nell'ultimo secolo da un'isteria di impianti: l'acquedotto, numerose linee elettriche (di alcune, ormai dismesse, si intravedono nel bosco solo i basamenti dei tralicci), ed a completare l'opera recentemente anche un'antenna per telefonia cellulare.
La vetta del Selevec/Selivec in particolare è completamente occupata dagli impianti dell'acquedotto (che sono anche recintati). Probabilmente, il tabor è stato completamente demolito e le pietre riutilizzate per le massicciate che circondano l'impianto.
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Anche delle murature che correrebbero lungo la cresta, descritte dal Puschi, non sono rimaste tracce evidenti. Certamente, alcuni raggruppamenti di pietre nel bosco in ordine un po' meno casuale di quanto ci si potrebbe aspettare lasciano immaginare che qualcosa ci sia stato... soprattutto la zona attorno alla vetta dello Hrib è ricca di ammassi di rocce che appaiono non esser frutto solo di un capriccio geologico... però anche questa zona è stata pesantemente lavorata, ed i rimboschimento rende il terreno molto meno "leggibile" di quanto non fosse all'epoca del Puschi (quella volta la zona doveva essere completamente brulla e spoglia).
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Il fatto che questo fortilizio fosse di "pietre tagliate" fa pensare a qualcosa di più di una semplice "fortificazione spontanea"; anche le dimensioni, abbastanza considerevoli (un quadrato di trenta metri di lato) potrebbero indicare che si trattava di qualcosa più di un tabor.
La posizione, indubbiamente "importante", lascia ragionevolmente supporre che in passato vi sia stato quasi certamente un castelliere, e forse anche un fortilizio romano. Questo potrebbe poi esser stato riadattato in epoca medievale, ed usato come tabor. Questo spiegherebbe anche la presenza, almeno nella parte più bassa delle mura (viste dal Puschi), di "pietre tagliate".
Il muraglione doppio e parallelo, che formava un corridoio largo due metri lungo due lati, probabilmente era un pasaggio forzato per meglio difendere l'accesso.
Non è chiara la funzione del lato semicircolare verso sud-est: forse il piede di una torre?
Allo stato attuale dei luoghi, non credo che sia più possibile alcuna indagine che possa fornirci indicazioni più attendibili.
Alcune note per aiutare chi voglia orientarsi in una ricerca "sul campo":
- il "prato romano" citato da Puschi è la zona di "Campo Romano", oggi occupata dalle casette costruite dal Governo Militare Alleato. Qualsiasi giacimento archeologico è stato ovviamente definitivamente distrutto.
- Puschi nei suoi appunti usa indicare le direzioni secondo la rosa dei venti.
Visto che questa consuetudine è ormai desueta e potrebbe non essere familiare a tutti, riporto le corrispondenze:
maestro nord-ovest
greco nord-est
libeccio sud-ovest
scirocco sud-est - il "punto trigonometrico" esiste tuttora (forse spostato di alcuni metri rispetto alla posizione originaria all'epoca del Puschi). Si trova all'interno del recinto che delimita il serbatoio dell'acquedotto.
Il punto trigonometrico originale è ben visibile in questa cartolina d'epoca:
- come si può vedere, la zona è vicinissima alla vedetta Ortensia; sarebbe interessante vedere se, da qualche foto "turistica" scattata da questa vedetta, e dimenticata in qualche album di famiglia, si potesse ricavare qualche informazione su questa fortificazione...
- Nella foto seguente, vediamo lo stato attuale dei luoghi:
Vediamo il massiccio terrapieno che circonda il serbatoio del'acquedotto, e che è stato con tutta probabilità realizzato con le pietre di risulta dalla demolizione delle strutture descritte dal Puschi.
Il punto trigonometrico è (probabilmente) quel pilastrino, sovrastato da un tubo metallico; poiché risulta ormai nascosto dal massiccio serbatoio dell'acquedotto, il punto trigonometrico è stato anche materializzato con un "fuori centro" (il pilastrino, circondato da una pedana, sovrastante al casotto sulla sinistra).Un dettaglio del punto trigonometrico originale.
L'angolo nord del serbatoio dell'acquedotto. In questa zona doveva trovarsi il tabor.
sabato 23 ottobre 2010
la vedetta Ortensia
Le rovine della vedetta Ortensia giacciono oggi di fronte agli impianti dell'acquedotto, sull'altura sovrastante l'"Obelisco" di Opicina.
La vedetta Ortensia fu la prima ad esser innalzata dalla Società Alpina, su progetto del presidente, l'ing. Eugenio Geiringer (che ne finanziò anche la costruzione).
Avendola progettata e costruita, è comprensibile che l'ing. Geiringer ne decise anche il nome, dedicandola alla propria moglie Ortensia.
Fu inaugurata il 23 novembre 1890, ma venne distrutta nel corso della prima guerra mondiale (non in seguito ad eventi bellici diretti, ma fu semplicemente abbattuta, come altre costruzioni sul ciglione carsico, per non fungere da possibile punto di riferimento per le artiglierie italiane).
Pare che vi sia una lontana intenzione di ricostruirla, tant'è che nel 2008 è stato fatto un "concorso di progettazione per giovani progetti-sti" proprio per "raccogliere idee" per la riedificazione di tale "vedetta panoramica".
Personalmente, devo dire che tutti i progetti partecipanti mi hanno lasciato abbastanza tiepido...
Anche il progetto vincitore, dal suggestivo nome di "coro di pietre", in realtà è solo l'ennesima riproposizione di una irreale architettura carsica, che di carsico ha però solo la materia prima: la pietra.
L'errore è che la pietra non viene usata nella maniera "tradizionale", e non ha quindi funzione strutturale, ma solo ed esclusivamente ornamentale; il risultato è una improbabile tessitura muraria a pseudo "opus incertum", oggi purtroppo molto diffusa...
La vedetta Ortensia fu la prima ad esser innalzata dalla Società Alpina, su progetto del presidente, l'ing. Eugenio Geiringer (che ne finanziò anche la costruzione).
Avendola progettata e costruita, è comprensibile che l'ing. Geiringer ne decise anche il nome, dedicandola alla propria moglie Ortensia.
Fu inaugurata il 23 novembre 1890, ma venne distrutta nel corso della prima guerra mondiale (non in seguito ad eventi bellici diretti, ma fu semplicemente abbattuta, come altre costruzioni sul ciglione carsico, per non fungere da possibile punto di riferimento per le artiglierie italiane).
La vedetta Ortensia, in tre cartoline d'epoca.
La struttura in legno retrostante, nella seconda cartolina, è un punto di riferimento cartografico, tuttora esistente
(ma inglobato nel nuovo edificio dell'acquedotto).
(ma inglobato nel nuovo edificio dell'acquedotto).
Tutto ciò che resta oggi della vedetta Ortensia.
Pare che vi sia una lontana intenzione di ricostruirla, tant'è che nel 2008 è stato fatto un "concorso di progettazione per giovani progetti-sti" proprio per "raccogliere idee" per la riedificazione di tale "vedetta panoramica".
Personalmente, devo dire che tutti i progetti partecipanti mi hanno lasciato abbastanza tiepido...
Anche il progetto vincitore, dal suggestivo nome di "coro di pietre", in realtà è solo l'ennesima riproposizione di una irreale architettura carsica, che di carsico ha però solo la materia prima: la pietra.
L'errore è che la pietra non viene usata nella maniera "tradizionale", e non ha quindi funzione strutturale, ma solo ed esclusivamente ornamentale; il risultato è una improbabile tessitura muraria a pseudo "opus incertum", oggi purtroppo molto diffusa...
lunedì 27 settembre 2010
Dagli appunti di Alberto Puschi: strada romana S. lorenzo a Corgnale
Eccovi la trascrizione di un'altro foglio di appunti di Alberto Puschi (questa volta, privo di data).
Anche in questo foglio la calligrafia non aiuta, e le incertezze sono parecchie...
Non mi è stato possibile identificare il citato monte Clemenoga (?), nei pressi di Corgnale, in nessuna cartografia attuale.
Carso di Trieste
Strada Romana S. Lorenzo a Corgnale
Tracce di questa strada si riconoscono lungo le falde del Monte Concusso e consistono di profondi solchi distanti m. 1.30 e di avanzi di letto scavato (?) a dorso di mulo, con scambi (?) per i carri. Sembra che questa strada si staccasse dalla strada di Fiume presso a poco nel sito ove raggiunge la strada moderna (?) e prima in direzione di n. ovest, quindi di n. est girando (?) alle falde del monte e da ultimo tagliata la strada moderna Basovizza Corgnale, andasse a raggiungere quella parte di questa villa che si fa appresti del M. Clemenoga (?). E' molto più alta della strada attuale, dalla quale presso il confine dell'agro di Trieste dista poco più di mezzo chilometro.
Seguii le strade del Carso tergestino nei mesi di Aprile e Maggio 1900 avendo a guida Bortolo Versich, guardia civica di Gropada.
Anche in questo foglio la calligrafia non aiuta, e le incertezze sono parecchie...
Non mi è stato possibile identificare il citato monte Clemenoga (?), nei pressi di Corgnale, in nessuna cartografia attuale.
domenica 26 settembre 2010
Santa Croce, costiera, scoperte romane - 29 dicembre 1911
Vi propongo la trascrizione di un'altro foglio di appunti (probabilmente inediti) di Alberto Puschi, risalenti al 29 dicembre 1911:
L'Opiglia citato dovrebbe essere Pietro Opiglia, fotografo archivista del Civico Museo di Storia ed Arte.
Interessante il fatto che viene indicata con precisione sia la particella catastale che il numero tavolare del terreno dove venne fatta la scoperta; con una breve gita all'Ufficio Tavolare dovrebbe essere facilmente individuabile il terreno e la relativa cartografia.
In attesa delle indagini all'Ufficio Tavolare, accontentiamoci di indicare approssimativamente (anzi, MOLTO approssimativamente) la zona:
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
A metà distanza tra la stazione di Grignano e la fermatina di S. Croce, sotto la linea della ferrata, ma più vicino alla riva del mare che non a questa, sul fondo n. cat. vecchio 2397, n. cat. nuovo 2121/1 e 2121/2, n. tav. 1128, detta Lahovez (?), ed anche terra di S. Michele, ed ora proprietà di Cristiano Cossutta abit. al n. 194 di S. Croce, dissodandosi il terreno per l'impianto di un vigneto furono scoperti dal Cossutta stesso gli avanzi di una fabbrica romana, consistenti in alcuni tratti di muri, di un canale intonacato di cemento e coperto di sfaldature d'arenaria, e molti rottami di laterizio, tra cui pezzi di grandi e grossi mattoni, ma diversi per colore e cocci di anfore e d'altri vasi. Trattasi di una villa rustica, che in seguito ai lavori campestri era già per l'addietro quasi interamente demolita in guisa che dei muri rimasti nessuno superava la linea dei fondamenti. La scoperta avvenne durante l'ottobre del 1911.
Questi terreni appartenevano in passato alla chiesa di Sgonico e da essa ebbero nell'uso del popolo il nome di terra di S. Michele. L'Opiglia eseguì due fotografie del sito. Il proprietario narra di maggiori scoperte che vi avrebbero fatto i suoi antenati.
L'Opiglia citato dovrebbe essere Pietro Opiglia, fotografo archivista del Civico Museo di Storia ed Arte.
Interessante il fatto che viene indicata con precisione sia la particella catastale che il numero tavolare del terreno dove venne fatta la scoperta; con una breve gita all'Ufficio Tavolare dovrebbe essere facilmente individuabile il terreno e la relativa cartografia.
In attesa delle indagini all'Ufficio Tavolare, accontentiamoci di indicare approssimativamente (anzi, MOLTO approssimativamente) la zona:
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
mercoledì 22 settembre 2010
mamma ragno
In questo periodo capita di vedere, nei prati e nel sottobosco carsici, dei ragni che sembrano un po' più grossi e bitorzoluti del normale...
Se ci prendiamo la briga di osservarli con attenzione, vedremo che in realtà si tratta di una "mamma ragno" che si porta a spasso sull'addome la sua numerosissima prole.
Sono ragni di una qualche specie della famiglia degli Agelenidi, scuri e lunghi un paio di centimetri.
Non sono pericolosi (anzi, sono utilissimi, come tutti i ragni), quindi limitatevi ad ammirare mamma ragno senza infastidirla...
Quella nella foto l'ho trovata lungo un sentiero del monte Hermada, ed era in buona compagnia (nell'arco di pochi minuti ne ho incontrate una mezza dozzina...)
martedì 27 luglio 2010
Gita archeologica a Nabresina – 26 gennaio 1908
Mi sono arrivate le riproduzioni di alcune pagine di appunti inediti di Alberto Puschi.
E chi è Alberto Puschi, chiederete voi?!
Alberto Puschi (Trieste, 13/2/1853 - 9/11/1922) fu dal 1884 al 1919 direttore dell'allora "Museo Civico d'Antichità" di Trieste.
Appassionato archeologo, consigliere della Società di Minerva, redattore de L'Archeografo Triestino, presidente della Società Alpina delle Giulie, consigliere della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria...
Inizialmente si occupò di numismatica, ma presto allargò i suoi interessi all'archeologia, effettando scavi e ricerche in tutto il territorio circostante Trieste ed in Istria.
Svolse numerosi sopralluoghi su molti siti, curandone anche scavi di saggio, con l'intenzione di stendere una mappa archeologica che comprendesse anche tutta l'Istria. Poco si sa della (presumibilmente enorme) massa dei suoi appunti, che non furono mai integralmente pubblicati (B. Benussi ne pubblicò solo un breve sunto su L'Archeografo Triestino nel 1927-1928).
Queste fotocopie che mi sono giunte attarverso un amico sono quindi particolarmente interessanti, e degne di trascrizione.
Una nota: la storia che "con il pennino si scrive con miglior calligrafia" è una leggenda metropolitana. Gli appunti di Puschi (scritti appunto con il pennino, ma con pessima calligrafia) ne sono la riprova. Nella trascrizione vi sono quindi alcune incertezze, che segnalerò.
Comincio dal primo foglio, relativo al resoconto di un "gita archeologica a Nabresina" effettuata dal Puschi il 16 gennaio 1908:
Ed i frammenti epigrafici citati... saranno al sicuro, magari all'Orto Lapidario, oppure saranno andati dispersi?
Quante domande...
E chi è Alberto Puschi, chiederete voi?!
Alberto Puschi (Trieste, 13/2/1853 - 9/11/1922) fu dal 1884 al 1919 direttore dell'allora "Museo Civico d'Antichità" di Trieste.
Appassionato archeologo, consigliere della Società di Minerva, redattore de L'Archeografo Triestino, presidente della Società Alpina delle Giulie, consigliere della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria...
Inizialmente si occupò di numismatica, ma presto allargò i suoi interessi all'archeologia, effettando scavi e ricerche in tutto il territorio circostante Trieste ed in Istria.
Svolse numerosi sopralluoghi su molti siti, curandone anche scavi di saggio, con l'intenzione di stendere una mappa archeologica che comprendesse anche tutta l'Istria. Poco si sa della (presumibilmente enorme) massa dei suoi appunti, che non furono mai integralmente pubblicati (B. Benussi ne pubblicò solo un breve sunto su L'Archeografo Triestino nel 1927-1928).
Queste fotocopie che mi sono giunte attarverso un amico sono quindi particolarmente interessanti, e degne di trascrizione.
Una nota: la storia che "con il pennino si scrive con miglior calligrafia" è una leggenda metropolitana. Gli appunti di Puschi (scritti appunto con il pennino, ma con pessima calligrafia) ne sono la riprova. Nella trascrizione vi sono quindi alcune incertezze, che segnalerò.
Comincio dal primo foglio, relativo al resoconto di un "gita archeologica a Nabresina" effettuata dal Puschi il 16 gennaio 1908:
A sin. della strada Nabresina-Sistiana (lungo la quale a detta della mia guida Ronzani (?), addetto alla cava Benvenuto, si trovarono a più riprese oggetti antichi e specialmente pile di pietra), precisamente un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio, venne a luce un tratto di muro romano alto m. 1 e largo 9 (?) e grosso 0,5 a circa 8 m. di profondità dal piano della strada, in direzione circa est-ovest, presso il laboratorio della cava Leopoldo Pertot vicino alla cava Giuch (?). Il muro è fondato su massicciata di scaglie calcaree e di cemento, della quale però non si conosce l'altezza non essendosi continuato lo scavo fino in fondo. L'edificio (laboratorio o tettoia ad uso della cava romana) era circondato a levante e a mezzogiorno fin presso dai corsi della roccia. Il muro a ovest piegava ad angolo retto e continuava forse anche nella direzione di ponente.Il muro è di buona costruzione solidissima, tanto che oggi sostiene verso nord una massa enorme di materiale.In fondo, vicino al muro, si trovò la vera di pozzo A, che consiste di un monolite cilindrico, del diam. mass. di m. 0,95, dello spessore di 0,16 e dell'altezza di 0,54. E' alquanto corroso dall'uso, sicchè sarà precipitato coll'altro materiale anziché esser stato fabbricato laggiù per esser poi trasportato altrove.Si raccolsero inoltre frammenti di fittili, una rozza pila di calcare e molti rottami di embrici romani (che appartenevano probab. al tetto dell'edificio), tra cui uno col bollo: MSICKM...Nella biblioteca di Nabresina si conservano oltre a vari oggetti anche due frammenti epigrafici, di cui il maggiore trov. a Srednji, il minore in un campo verso Slivno. Ne ha cura il decoratore Enrico Höller.
Corredano gli appunti un paio di schizzi, relativi alla mappa della zona degli scavi ed i testi dei due frammenti epigrafici.
Note varie:
- la località dello scavo, "un chilom. e mezzo circa dall'incrocio di questa colla strada Nabresina-Bivio", dovrebbe essere nella zona dell'incrocio dell'attuale provinciale con la strada che porta alla nuova zona artigianale, poco dopo il cavalcavia ferroviario.
Non so quale sia stata l'ubicazione del "laboratorio Leopoldo Pertot" - la citata "Cava Giuch" potrebbe essere forse la cava di Jurcovez, che si trova però in prossimità del Castelliere 2 di Slivia (e quindi non è propriamente vicinissima alla strada provinciale)
- una località Srednie pare trovarsi in prossimità della Strada Costiera, all'altezza della sovrastante Cava Romana.
Ed i frammenti epigrafici citati... saranno al sicuro, magari all'Orto Lapidario, oppure saranno andati dispersi?
Quante domande...
giovedì 17 giugno 2010
storia di Olga
Grazie a Maurizio Rozza per averci regalato questa bellissima storia:
A volte il mondo sembra veramente piccolo e il destino sembra voler giocare con gli incontri tra esseri viventi.
Due anni fa, girando con il fuoristrada sul Monte Stena - piccolo cocuzzolo carsico - vidi un grande serpente che stava attraversando la pista. Mi parve di intravvedere le striature nere che contraddistinguono il corpo del cervone ( Elaphe quatuorlineata ) ... inchiodai la macchina mentre il mio collega mi guardava allibito e corsi a cercarlo per catturarlo. Emozionato, quasi lo abbracciai.
Era veramente una femmina di cervone, animale che risultava sostanzialmente estinto dal nord Italia. La liberai augurandole tra me e me buona fortuna.
Il cervone è un serpente grande, grosso ( arriva a 2,40 m.) ma assolutamente innoquo e di una tranquillità assoluta. Questo non lo mette però al riparo dal rischio concreto di essere ammazzato a bastonate da una delle tantissime persone che credono sia un dovere morale uccidere ogni essere che strisci ... cicatrici della cultura cattolica, per la quale il serpente è il sintomo del male.
Ieri pomeriggio ricevo una chiamata urgente: un enorme serpente giallo a puntini neri (??!?) è entrato nel giardino di una casa a Hrvati.
Mentre guido come un pazzo per cercare di arrivare prima che qualcuno si faccia male, cerco di ricordarmi quale strano velenosissimo serpente esotico è giallo a puntini neri ... Non mi viene in mente nulla, ma impreco comunque contro quei pazzi di trafficanti di animali e di collezionisti che stanno spargendo per il mondo animali pericolosi di tutti i tipi.
Arrivo a Hrvati e vedo agitazione e facce bianche... Corro a vedere la belva: non è giallo, non ha le macchie nere, ma ha invece le strisce scure lungo il corpo: un altro cervone? Tra gli occhi inorriditi e i gridolini degli astanti, prendo con le mani l'animale e lo sfilo delicatamente dalla siepe di rose mentre lui sbuffa come un mantice provocando la fuga definitiva degli spettatori.
E' una femmina .... è lunga circa due metri, come quella di due anni prima.. forse appena un pochino più lunga. La metto in un sacco è la porto a casa. L'indomani la libererò, lontano da luoghi dove può prendersi una badilata. Chiamo Andrea, del museo di storia naturale, per dargi appuntamento sul luogo della liberazione. Andrea quattro anni fa aveva fatto i rilievi sul primo esemplare trovato in nord italia, sempre in quella zona: i pompieri lo avevano tirato fuori dal giardino di un motel. Anche quella era una femmina. Aveva disegnato le squame della sua testa, che distinguono un individuo dall'altro. Ci incontriamo dunque per liberarla e la guardiamo: le squame e le abrasioni sul muso sono identiche. Olga (così ora si chiama) era sempre lei, e per ben due volte si era fatta trovare da me a chilometri di distanza.
Olga - ultima dei cervoni del Carso - è sopravvissuta a uomini con il bastone e cinghiali affamati e la sorte ha voluto che qualcuno chiamasse me, che la avevo abbracciata due anni prima, a salvarle la pelle.
Se vi capiterà di incontrare Olga, o un altro cervone, o un altro serpente, provate a cancellare le vostre infrastrutture culturali per un attimo.
Sedetevi davanti all'animale e ammiratelo in tutta la sua sinuosa eleganza.
Scoprirete che vi piacerà....
mercoledì 9 giugno 2010
Visita e pulizia della grotta Bac
Dopo qualche giorno di forzata latitanza dal blog, inserisco solo un veloce post per segnalare una bella iniziativa: sabato 12 giugno 2010, ore 8.30, viene organizzata una visita ed un'operazione collettiva di pulizia della Grotta Bac.
Quando si dice che Trieste è la provincia più inquinata d'Italia non ci si riferisce solamente alle discariche di rifiuti tossico-nocivi sparse illegalmente su tutto il territorio e nel golfo, ma anche al degrado e all'abbandono in cui giacciono molti siti naturalistici. Purtroppo, per ragioni difficilmente determinabili, le amministrazioni locali e le autorità competenti non se ne curano, a danno non solo dell'ambiente ma dell'intera comunità che viene privata in questo modo del suo diritto a godere delle risorse naturali del posto.
Il gruppo Beppe Grillo Trieste e la lista civica Trieste 5 Stelle promuovono una giornata all'insegna della riscoperta di questi siti "sprecati", quale è la grotta Bac di Basovizza, posizionata a confine tra i comuni di Trieste e Dolina, divenuta nel tempo, in parte, una discarica abusiva di oggetti ingombranti.
La grotta, il cui primo rilievo risale al 1884, oltre all'ingresso a caverna che verrà utilizzato per asportare le immondizie, ha un altro ingresso rappresentato da un breve pozzo che giunge in un vano laterale. La maggior parte dei rifiuti si trova dopo aver superato il primo tratto della grotta, costituito da una spaziosa galleria in declivio, laddove si ha un brusco cambiamento di direzione, prima dell'apertura di una seconda caverna. La presenza di acqua nelle vicinanze del deposito di materiale metallico-elettronico induce a considerare potenzialmente dannoso anche per l'uomo l'inquinamento del sito.
L'invito, rivolto a tutte le associazioni, gruppi e privati cittadini, è quello di incontrarsi per ripulire la grotta e successivamente effettuare una visita al suo interno. L'appuntamento è per sabato 12 giugno, ore 8.30, presso la foiba di Basovizza muniti di guanti di plastica, sacchi per l'immondizia e un abbigliamento adeguato. La temperatura interna della grotta è di 13 gradi. E' prevista la presenza di numerosi bambini.
Per motivi organizzativi si raccomanda di segnalare la propria partecipazione sul MeetUp
Quando si dice che Trieste è la provincia più inquinata d'Italia non ci si riferisce solamente alle discariche di rifiuti tossico-nocivi sparse illegalmente su tutto il territorio e nel golfo, ma anche al degrado e all'abbandono in cui giacciono molti siti naturalistici. Purtroppo, per ragioni difficilmente determinabili, le amministrazioni locali e le autorità competenti non se ne curano, a danno non solo dell'ambiente ma dell'intera comunità che viene privata in questo modo del suo diritto a godere delle risorse naturali del posto.
Il gruppo Beppe Grillo Trieste e la lista civica Trieste 5 Stelle promuovono una giornata all'insegna della riscoperta di questi siti "sprecati", quale è la grotta Bac di Basovizza, posizionata a confine tra i comuni di Trieste e Dolina, divenuta nel tempo, in parte, una discarica abusiva di oggetti ingombranti.
La grotta, il cui primo rilievo risale al 1884, oltre all'ingresso a caverna che verrà utilizzato per asportare le immondizie, ha un altro ingresso rappresentato da un breve pozzo che giunge in un vano laterale. La maggior parte dei rifiuti si trova dopo aver superato il primo tratto della grotta, costituito da una spaziosa galleria in declivio, laddove si ha un brusco cambiamento di direzione, prima dell'apertura di una seconda caverna. La presenza di acqua nelle vicinanze del deposito di materiale metallico-elettronico induce a considerare potenzialmente dannoso anche per l'uomo l'inquinamento del sito.
L'invito, rivolto a tutte le associazioni, gruppi e privati cittadini, è quello di incontrarsi per ripulire la grotta e successivamente effettuare una visita al suo interno. L'appuntamento è per sabato 12 giugno, ore 8.30, presso la foiba di Basovizza muniti di guanti di plastica, sacchi per l'immondizia e un abbigliamento adeguato. La temperatura interna della grotta è di 13 gradi. E' prevista la presenza di numerosi bambini.
Per motivi organizzativi si raccomanda di segnalare la propria partecipazione sul MeetUp
mercoledì 21 aprile 2010
Passeggiata alla ricerca delle rovine archeologiche
Dopo l'escursione sui castellieri preistorici del Carso Triestino dello scorso 18 aprile, segnalo un'altra bella iniziativa del Gruppo Archeologico Goriziano: il 9 maggio, organizzano una "Passeggiata alla ricerca delle rovine archeologiche del Carso triestino nell’area del Lacus Timavi".
Secondo il programma, "Durante l'escursione andremo a ritroso nella storia:
visiteremo una delle ville romane del Lacus Timavi, un possibile tumulo, una tipica casa carsica dei primi anni del novecento ed andremo alla ricerca di un inedito insediamento protostorico di cui solo pochi escursionisti hanno conoscenza
e di cui eseguiremo assieme un primo rilievo."
Informazioni e dettagli per l'adesione sul volantino con il programma.
Secondo il programma, "Durante l'escursione andremo a ritroso nella storia:
visiteremo una delle ville romane del Lacus Timavi, un possibile tumulo, una tipica casa carsica dei primi anni del novecento ed andremo alla ricerca di un inedito insediamento protostorico di cui solo pochi escursionisti hanno conoscenza
e di cui eseguiremo assieme un primo rilievo."
Informazioni e dettagli per l'adesione sul volantino con il programma.
lunedì 12 aprile 2010
i castellieri preistorici del Carso Triestino - escursione
Domenica 18 aprile 2010 il Gruppo Archeologico Goriziano organizza un'escursione sui castellieri preistorici del Carso Triestino (disponibile qui il programma).
Ritrovo ore 10.00 e partenza con mezzi propri verso la meta dell’escursione. Si consiglia un abbigliamento da trekking.
Obbligatoria la prenotazione, da effettuarsi presso il gruppo organizzatore.
Ritrovo ore 10.00 e partenza con mezzi propri verso la meta dell’escursione. Si consiglia un abbigliamento da trekking.
Obbligatoria la prenotazione, da effettuarsi presso il gruppo organizzatore.
venerdì 9 aprile 2010
il ripostiglio tardoromano del Monte San Primo
Per un archeologo, un "ripostiglio" è il parente povero di un tesoro.
Se il tesoro nascosto ce lo immaginiamo fatto di monete d'oro e pietre preziose, un ripostiglio è fatto di oggetti di uso quotidiano, o pezzi di metallo conservati per esser riutilizzati. Con il tesoro ha in comune la caratteristica di esser stato occultato, nascosto, sepolto... e poi dimenticato, probabilmente perchè chi lo fece non ebbe più l'occasione di recuperare i suoi oggetti.
Un ripostiglio del genere fu scoperto per caso agli inizi degli anni '80, nascosto tra le pietre di un muretto tra il monte San Paolo ed il monte San Primo, tra Prosecco e Santa Croce.
Era composto da materiali eterogenei:
Se vogliamo dare un possibile quadro storico, basterà ricordare che nel corso del 400 d.C. Alarico , re dei Visigoti, lasciò l'Epiro e passando da Aemona (l'odierna Lubiana), nel 401 d.C. arrivò in Italia, attraversando proprio questa zona...
Possiamo quindi immaginare un artigiano, magari un legionario veterano (il che spiegherebbe la fibbia di tipo militare), all'avvicinarsi dei temuti barbari invasori decise di occultare tutto ciò che aveva di prezioso... per lo più utensili e metalli grezzi – le cose più preziose, in un'economia di sussistenza.
Dopodichè, avvenne qualcosa, che gli impedì il recupero... ed i suoi utensili sono rimasti dimenticati sotto i sassi di quel muretto per quasi 1600 anni.
Lo scenario non è tanto fantastico, se consideriamo che a quello stesso periodo risale un altro tesoro della nostra zona, trovato nella grotta Alessandra (419/366 VG): due gruppi di monete, sepolte separatamente a poca distanza uno dall'altro.
Anche qui: non scopriremo mai chi è stato ad occultarle... ma possiamo solo immaginare la paura e lo stato d'animo di chi, all'avvicinarsi del nemico, cercava di salvare i propri averi; mentre il destino volle che non gli fosse più possibile recuperarli.
per approfondire:
Dante Cannarella, "Itinerari Carsici: da Contovello a Santa Croce", ed. Italo Svevo, Trieste 1990
Se il tesoro nascosto ce lo immaginiamo fatto di monete d'oro e pietre preziose, un ripostiglio è fatto di oggetti di uso quotidiano, o pezzi di metallo conservati per esser riutilizzati. Con il tesoro ha in comune la caratteristica di esser stato occultato, nascosto, sepolto... e poi dimenticato, probabilmente perchè chi lo fece non ebbe più l'occasione di recuperare i suoi oggetti.
Un ripostiglio del genere fu scoperto per caso agli inizi degli anni '80, nascosto tra le pietre di un muretto tra il monte San Paolo ed il monte San Primo, tra Prosecco e Santa Croce.
Era composto da materiali eterogenei:
- una zappa, alcune asce, delle falci, delle roncole, un punteruolo, chiodi ed una fibula.
- alcuni oggetti in bronzo: fibbie, placche, una placca da cinturone (decorata con disegni geometrici disposti a quadrifoglio e sormontata da due cani accucciati sovrapposti).
- Quattro monete romane, due delle quali forate per esser usate come ornamento
- due pezzi di piombo
- dei pezzi informi di ferro
- una cote di pietra, usata per affilare le lame.
Se vogliamo dare un possibile quadro storico, basterà ricordare che nel corso del 400 d.C. Alarico , re dei Visigoti, lasciò l'Epiro e passando da Aemona (l'odierna Lubiana), nel 401 d.C. arrivò in Italia, attraversando proprio questa zona...
Possiamo quindi immaginare un artigiano, magari un legionario veterano (il che spiegherebbe la fibbia di tipo militare), all'avvicinarsi dei temuti barbari invasori decise di occultare tutto ciò che aveva di prezioso... per lo più utensili e metalli grezzi – le cose più preziose, in un'economia di sussistenza.
Dopodichè, avvenne qualcosa, che gli impedì il recupero... ed i suoi utensili sono rimasti dimenticati sotto i sassi di quel muretto per quasi 1600 anni.
Lo scenario non è tanto fantastico, se consideriamo che a quello stesso periodo risale un altro tesoro della nostra zona, trovato nella grotta Alessandra (419/366 VG): due gruppi di monete, sepolte separatamente a poca distanza uno dall'altro.
Anche qui: non scopriremo mai chi è stato ad occultarle... ma possiamo solo immaginare la paura e lo stato d'animo di chi, all'avvicinarsi del nemico, cercava di salvare i propri averi; mentre il destino volle che non gli fosse più possibile recuperarli.
per approfondire:
Dante Cannarella, "Itinerari Carsici: da Contovello a Santa Croce", ed. Italo Svevo, Trieste 1990
martedì 6 aprile 2010
la processionaria
In questa stagione, nei boschi di pini capita di trovare sul terreno lunghe file ordinate di graziosi bruchi pelosi: le processionarie.
Sono le larve di Thaumatopoea Pityocampa, le comuni farfalle notturne grigie a forma di triangolo:
Durante l'autunno le larve si formano un caratteristico nido sericeo, una sorta di bozzolo bianco costruito all'estremità dei rami più soleggiati. In questo nido le larve passeranno l'inverno, fino a marzo/aprile.
In questo periodo le larve abbandoneranno il nido e scenderanno a terra, dirigendosi in processione verso un luogo adatto ove si interreranno e svolgere la propria metamorfosi.
L'aspetto affascinante delle larve, ed il loro curioso comportamento, non deve però trarre in inganno: si tratta di un insetto molto dannoso e pericoloso, anche per l'uomo.
Le larve, nutrendosi, danneggiano i pini su cui si trovano i loro "nidi" (una sorta di caratteristico bozzolo bianco).
Inoltre i "peli" delle larve sono fortemente urticanti. Il semplice contatto con la pelle provoca delle dermatiti anche imponenti, mentre nel caso di contatto con le mucose (bocca, naso, occhi) provoca gravi reazioni allergiche e infiammatorie (irritazioni cutanee e oculari, eritemi alle mucose e alle vie respiratorie, attacchi d’asma), per le quali è sempre necessario l'intervento del medico e spesso è anche necessario il ricovero.
Tali manifestazioni possono verificarsi anche senza il contatto con il corpo dell’insetto (i peli urticanti possono staccarsi ed essere trasportati dal vento).
Oltre che per l'uomo il bruco di processionaria risulta pericolosissimo anche per cani e cavalli: brucando l'erba o annusando il terreno possono involontariamente ingerire o inalare i peli urticanti, con conseguenze anche fatali; in particolare, il semplice contatto con la lingua provoca lesioni gravissime e necrosi.
Prima di definire "nocivo" un animale bisognerebbe adottare cento cautele e mille riserve: non si sa mai dove ci possa condurre il nostro maldestro interferire negli equilibri naturali, il nostro assurgerci ad apprendisti stregoni che pretendono di stabilire che un animale o una pianta è "male" e va sterminato.
In questo particolare caso però, possiamo dedicarci alla lotta alla processionaria con relativa tranquillità e senza eccessivi scrupoli...
Inoltre, la lotta alla processionaria è diventata obbligatoria (Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 30 ottobre 2007), ed il proprietario di alberi infestati è obbligato a segnalare il fatto al Corpo Forestale.
Tale lotta si effettua oggi non solo con la rimozione e distruzione dei nidi (operazione non sempre agevole, e comunque da svolger con cautela), ma soprattutto con delle "trappole" ormonali (una specie di secchiello verde, che capita di veder appeso ai rami dei pini).
Perciò, in questo periodo, prestate attenzione durante le vostre passeggiate in Carso...
Per approfondire:
Sono le larve di Thaumatopoea Pityocampa, le comuni farfalle notturne grigie a forma di triangolo:
(foto: www.entomart.be/)
Queste farfalle depongono le uova (da 100 a 400) sulle chiome dei pini. Qui le uova si schiudono e le larve si sviluppano, nutrendosi degli aghi di pino.Durante l'autunno le larve si formano un caratteristico nido sericeo, una sorta di bozzolo bianco costruito all'estremità dei rami più soleggiati. In questo nido le larve passeranno l'inverno, fino a marzo/aprile.
In questo periodo le larve abbandoneranno il nido e scenderanno a terra, dirigendosi in processione verso un luogo adatto ove si interreranno e svolgere la propria metamorfosi.
L'aspetto affascinante delle larve, ed il loro curioso comportamento, non deve però trarre in inganno: si tratta di un insetto molto dannoso e pericoloso, anche per l'uomo.
Le larve, nutrendosi, danneggiano i pini su cui si trovano i loro "nidi" (una sorta di caratteristico bozzolo bianco).
nido di processionaria
Inoltre i "peli" delle larve sono fortemente urticanti. Il semplice contatto con la pelle provoca delle dermatiti anche imponenti, mentre nel caso di contatto con le mucose (bocca, naso, occhi) provoca gravi reazioni allergiche e infiammatorie (irritazioni cutanee e oculari, eritemi alle mucose e alle vie respiratorie, attacchi d’asma), per le quali è sempre necessario l'intervento del medico e spesso è anche necessario il ricovero.
Tali manifestazioni possono verificarsi anche senza il contatto con il corpo dell’insetto (i peli urticanti possono staccarsi ed essere trasportati dal vento).
Oltre che per l'uomo il bruco di processionaria risulta pericolosissimo anche per cani e cavalli: brucando l'erba o annusando il terreno possono involontariamente ingerire o inalare i peli urticanti, con conseguenze anche fatali; in particolare, il semplice contatto con la lingua provoca lesioni gravissime e necrosi.
Prima di definire "nocivo" un animale bisognerebbe adottare cento cautele e mille riserve: non si sa mai dove ci possa condurre il nostro maldestro interferire negli equilibri naturali, il nostro assurgerci ad apprendisti stregoni che pretendono di stabilire che un animale o una pianta è "male" e va sterminato.
In questo particolare caso però, possiamo dedicarci alla lotta alla processionaria con relativa tranquillità e senza eccessivi scrupoli...
Inoltre, la lotta alla processionaria è diventata obbligatoria (Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali 30 ottobre 2007), ed il proprietario di alberi infestati è obbligato a segnalare il fatto al Corpo Forestale.
Tale lotta si effettua oggi non solo con la rimozione e distruzione dei nidi (operazione non sempre agevole, e comunque da svolger con cautela), ma soprattutto con delle "trappole" ormonali (una specie di secchiello verde, che capita di veder appeso ai rami dei pini).
Perciò, in questo periodo, prestate attenzione durante le vostre passeggiate in Carso...
Per approfondire:
- voce "Processionaria" su Wikipedia
- Processionaria.it - Tutto quel che occore conoscere riguardo la processionaria del pino
giovedì 1 aprile 2010
concorso fotografico “CARSO 2014 : I VOLTI DEL CARSO“
(foto di Capt Kodak)
La Provincia di Gorizia ha indetto un concorso fotografico, con lo scopo di valorizzare il territorio carsico.
Cogliere le immagini più suggestive delle terre che ci circondano, ricche di simboli di guerra, di confine, di mescolanza di popoli, etnie, culture e identità, sarà anche un modo per riscoprire angoli nascosti del territorio.
Il regolamento è disponibile on-line, la scadenza è il 31 agosto 2010, e per partecipare è sufficiente registrarsi (gratuitamente) sul sito e uploadare le foto. Via via che verranno caricate, le foto partecipanti saranno visualizzate sul sito.
La Provincia di Gorizia ha indetto un concorso fotografico, con lo scopo di valorizzare il territorio carsico.
Cogliere le immagini più suggestive delle terre che ci circondano, ricche di simboli di guerra, di confine, di mescolanza di popoli, etnie, culture e identità, sarà anche un modo per riscoprire angoli nascosti del territorio.
Il regolamento è disponibile on-line, la scadenza è il 31 agosto 2010, e per partecipare è sufficiente registrarsi (gratuitamente) sul sito e uploadare le foto. Via via che verranno caricate, le foto partecipanti saranno visualizzate sul sito.
L'inverno è finito...
Le primule ormai la stanno facendo da padrone, si sono già viste le prime rondini... e quindi, aspettiamoci ancora qualche colpo di coda dell'inverno, ma possiamo considerare la stagione fredda in chiusura...
Questo ultimo inverno vi è sembrato particolarmente rigido?
Certo, ci sono state delle nevicate abbastanza intense, dei giorni di bora da record, e per qualche giorno anche temperature particolarmente basse... ma non basta. Il "global warming" è un fatto, e se siete fra gli scettici che non ci credono, date un'occhiata a questa vecchia cartolina:
E' lo stagno di Percedol dove, un secolo fa, si pattinava sul ghiaccio.
E non solo in inverni particolarmente rigidi o con freddo da record: lo si faceva regolarmente, ogni inverno. Tant'è che la Società Alpina delle Giulie aveva anche attrezzato un capanno fisso per questa attività.
Ed un po' per tutto il Carso sono disseminate delle "jazere", ormai abbandonate; ma, fino ad un secolo fa, producevano rilevanti masse di ghiaccio, che venivano poi protette con strati di paglia, e duravano fino a luglio...
Oggi, quanto ghiaccio riuscirebbe a produrre una jazera?
Ed andando ancora un po' più indietro nel tempo... allorchè, nella seconda metà dell'800, fu costruita la linea ferroviaria della "Sudbahn", la tratta sul Carso fu molto discussa: si temeva infatti che le frequenti tormente di neve avrebbero costretto la linea a lunghi periodi di inattività...
No, decisamente un secolo fa gli inverni erano molto più freddi.
Questo ultimo inverno vi è sembrato particolarmente rigido?
Certo, ci sono state delle nevicate abbastanza intense, dei giorni di bora da record, e per qualche giorno anche temperature particolarmente basse... ma non basta. Il "global warming" è un fatto, e se siete fra gli scettici che non ci credono, date un'occhiata a questa vecchia cartolina:
E' lo stagno di Percedol dove, un secolo fa, si pattinava sul ghiaccio.
E non solo in inverni particolarmente rigidi o con freddo da record: lo si faceva regolarmente, ogni inverno. Tant'è che la Società Alpina delle Giulie aveva anche attrezzato un capanno fisso per questa attività.
Ed un po' per tutto il Carso sono disseminate delle "jazere", ormai abbandonate; ma, fino ad un secolo fa, producevano rilevanti masse di ghiaccio, che venivano poi protette con strati di paglia, e duravano fino a luglio...
Oggi, quanto ghiaccio riuscirebbe a produrre una jazera?
Ed andando ancora un po' più indietro nel tempo... allorchè, nella seconda metà dell'800, fu costruita la linea ferroviaria della "Sudbahn", la tratta sul Carso fu molto discussa: si temeva infatti che le frequenti tormente di neve avrebbero costretto la linea a lunghi periodi di inattività...
No, decisamente un secolo fa gli inverni erano molto più freddi.
giovedì 25 marzo 2010
Streghe, Orchi e Krivapete - reloaded
Lo scorso sabato 19 dicembre era prevista a Gorizia una tavola rotonda su "Streghe, Orchi e Krivapete - Le grotte tra miti e leggende" (che avevo anche annunciato sul blog).
Le condizioni meteo avevano poi portato all'annullamento della manifestazione ed il rinvio della stessa... a data da destinarsi (e, per quanto mi riguarda, è stata una fortuna... in quanto, indipendentemente dalle condizioni meteo, ero impossibilitato a partecipare).
Il "a data da destinarsi" è arrivato, e la Federazione Speleologica Isontina la ha fissata per il prossimo SABATO 24 APRILE, presso la Sala conferenze dei Musei Provinciali di Borgo Castello a Gorizia.
Non tutto il male viene per nuocere: nel frattempo, il programma si è arricchito ed è diventato ancor più interessante:
Ore 9.30 - Saluto delle autorità e apertura dei lavori.
Ore 10.00 - Paolo Montina: Situazione degli studi sul folklore del mondo ipogeo negli ultimi anni.
Ore 10.30 - Pausa caffè
Ore 10.45- Anna Degenhardt: Simbologie magiche legate alle grotte e personaggi mitici delle tradizioni friulane.
Ore 11.15 - Franco Gherlizza: Miti e leggende ipogee del Friuli Venezia Giulia.
Ore 12.30 - Pausa pranzo.
Ore 14.00 - Maurizio Tavagnutti: Streghe, Krivapete e altri essere mitici delle grotte friulane.
Ore 14.30 - Franco Gherlizza: Comparazione con esseri fantastici, miti e leggende di altri Paesi.
Ore 15.00 - Pausa caffè.
Ore 15.15 - Adriano Vanin: Il “monte Amariana” nelle leggende carniche e dolomitiche.
Ore 15.45 - Roberto Iacovizzi: Sbilfs, folletti soprattutto carnici.
Ore 16.15 - Paolo Montina: Storia e leggenda della Grotta Doviza.
Ore 17.00 - Conclusione dei lavori.
Eventuali altri interventi non compresi nel presente programma, potranno essere presentati liberamente ed inseriti il giorno stesso (24/4) modificando la scaletta dei lavori.
IL MAGICO MONDO DELLE GROTTE
MITI E LEGGENDE DELLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
I vari aspetti del fenomeno carsico - caverne, voragini, campi solcati, risorgenti - hanno sempre colpito la fantasia dell’uomo che vi collegava una volta presenze mitiche e soprannaturali.
Il progresso delle scienze e dei mezzi di informazione e soprattutto la scomparsa della chiusa società patriarcale per cui ogni borgo ed ogni vallata costituivano un universo a se stante, hanno contribuito nel nostro secolo alla distruzione di questo mondo di fiaba ora dolce, ora crudele, ma sempre poetico e spontaneo.
Questo processo irreversibile coinvolge con maggiore o minore velocità tutte le regioni italiane, non ultima quella friulana.
Anzi, in questa zona di confine, esso viene accelerato dalle conseguenze di due conflitti mondiali: spostamento di confini, migrazioni, ecc.
Per fortuna non mancano studiosi ed associazioni che hanno raccolto quanto resta del folklore friulano, e dalle pubblicazioni periodiche specializzate in materia abbiamo tratto una buona parte delle leggende che conosciamo e che andremmo ad illustrare in questa giornata di studi.
Per chi voglia confermare in anticipo la propria partecipazione, esiste anche una apposita pagina su Facebook.
Le condizioni meteo avevano poi portato all'annullamento della manifestazione ed il rinvio della stessa... a data da destinarsi (e, per quanto mi riguarda, è stata una fortuna... in quanto, indipendentemente dalle condizioni meteo, ero impossibilitato a partecipare).
Il "a data da destinarsi" è arrivato, e la Federazione Speleologica Isontina la ha fissata per il prossimo SABATO 24 APRILE, presso la Sala conferenze dei Musei Provinciali di Borgo Castello a Gorizia.
Non tutto il male viene per nuocere: nel frattempo, il programma si è arricchito ed è diventato ancor più interessante:
Per ricordare l’amico e studioso triestino EGIZIO FARAONE
LA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA ISONTINA
Con il patrocinio della
PROVINCIA DI GORIZIA
ORGANIZZA
UNA GIORNATA DI STUDI DEDICATA
ALLE LEGGENDE LEGATE ALLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
Programma:ALLE LEGGENDE LEGATE ALLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
Ore 9.30 - Saluto delle autorità e apertura dei lavori.
Ore 10.00 - Paolo Montina: Situazione degli studi sul folklore del mondo ipogeo negli ultimi anni.
Ore 10.30 - Pausa caffè
Ore 10.45- Anna Degenhardt: Simbologie magiche legate alle grotte e personaggi mitici delle tradizioni friulane.
Ore 11.15 - Franco Gherlizza: Miti e leggende ipogee del Friuli Venezia Giulia.
Ore 12.30 - Pausa pranzo.
Ore 14.00 - Maurizio Tavagnutti: Streghe, Krivapete e altri essere mitici delle grotte friulane.
Ore 14.30 - Franco Gherlizza: Comparazione con esseri fantastici, miti e leggende di altri Paesi.
Ore 15.00 - Pausa caffè.
Ore 15.15 - Adriano Vanin: Il “monte Amariana” nelle leggende carniche e dolomitiche.
Ore 15.45 - Roberto Iacovizzi: Sbilfs, folletti soprattutto carnici.
Ore 16.15 - Paolo Montina: Storia e leggenda della Grotta Doviza.
Ore 17.00 - Conclusione dei lavori.
Eventuali altri interventi non compresi nel presente programma, potranno essere presentati liberamente ed inseriti il giorno stesso (24/4) modificando la scaletta dei lavori.
IL MAGICO MONDO DELLE GROTTE
MITI E LEGGENDE DELLE GROTTE DEL NOSTRO FRIULI
I vari aspetti del fenomeno carsico - caverne, voragini, campi solcati, risorgenti - hanno sempre colpito la fantasia dell’uomo che vi collegava una volta presenze mitiche e soprannaturali.
Il progresso delle scienze e dei mezzi di informazione e soprattutto la scomparsa della chiusa società patriarcale per cui ogni borgo ed ogni vallata costituivano un universo a se stante, hanno contribuito nel nostro secolo alla distruzione di questo mondo di fiaba ora dolce, ora crudele, ma sempre poetico e spontaneo.
Questo processo irreversibile coinvolge con maggiore o minore velocità tutte le regioni italiane, non ultima quella friulana.
Anzi, in questa zona di confine, esso viene accelerato dalle conseguenze di due conflitti mondiali: spostamento di confini, migrazioni, ecc.
Per fortuna non mancano studiosi ed associazioni che hanno raccolto quanto resta del folklore friulano, e dalle pubblicazioni periodiche specializzate in materia abbiamo tratto una buona parte delle leggende che conosciamo e che andremmo ad illustrare in questa giornata di studi.
Per chi voglia confermare in anticipo la propria partecipazione, esiste anche una apposita pagina su Facebook.
mercoledì 24 marzo 2010
il fantomatico Castelliere di Jurcovac - stato delle ricerche
Ogni tanto qualcuno mi chiede notizie sullo stato delle ricerche del castelliere di Jurkovac, citato da Richard Francis Burton.
Onde evitare di dover riscrivere sempre gli stessi fatti, li posto qui pubblicamente... chissà che qualcun altro non si appassioni nella ricerca.
Riassunto delle puntate precedenti:
Richard Francis Burton, in uno scritto sulla rivista Athenaeum, nel 1876 descrive un castelliere, che si troverebbe nella zona di Aurisina, ma che (in base alla descrizione) non sembra poter essere uno dei due castellieri di Slivia; tutti i dettagli nel mio post del 25 gennaio 2009
Nel post del 24 giugno 2009 ho fatto poi un po' il punto delle possibili ipotesi, su dove potesse trovarsi effettivamente il castelliere visitato da R. F. Burton
Stato attuale delle ricerche:
All'epoca di R.F. Burton, la vegetazione nella zona era MOLTO meno rigogliosa, e quindi individuare manufatti e castellieri sulle colline carsiche era MOLTO più semplice che non oggidì.
Durante l'estate, qualsiasi sopralluogo nelle zone è stato praticamente impossibile o, comunque, improduttivo.
Ho approfittato dell'inverno, e della vegetazione ridotta, per effettuare diversi sopralluoghi sulle colline circostanti, ed il risultato di questi sopralluoghi è stato il seguente:
Quindi, è in questa zona che bisogna concentrare le ricerche: se esistono ancora resti del castelliere di Jurkovac, si potranno trovare solo qui...
Se qualcuno vuole unire l'utile al dilettevole, e concentrare le sue prime ricerche di asparagi nella zona, chissà che non si imbatta in qualche resto di questo fantomatico castelliere...
Può sempre aiutarsi con questa mappa, dove ho riassunto la situazione:
Visualizza Ricerca del castelliere di Jurcovac - 2 in una mappa di dimensioni maggiori
Onde evitare di dover riscrivere sempre gli stessi fatti, li posto qui pubblicamente... chissà che qualcun altro non si appassioni nella ricerca.
Riassunto delle puntate precedenti:
Richard Francis Burton, in uno scritto sulla rivista Athenaeum, nel 1876 descrive un castelliere, che si troverebbe nella zona di Aurisina, ma che (in base alla descrizione) non sembra poter essere uno dei due castellieri di Slivia; tutti i dettagli nel mio post del 25 gennaio 2009
Nel post del 24 giugno 2009 ho fatto poi un po' il punto delle possibili ipotesi, su dove potesse trovarsi effettivamente il castelliere visitato da R. F. Burton
Stato attuale delle ricerche:
All'epoca di R.F. Burton, la vegetazione nella zona era MOLTO meno rigogliosa, e quindi individuare manufatti e castellieri sulle colline carsiche era MOLTO più semplice che non oggidì.
Durante l'estate, qualsiasi sopralluogo nelle zone è stato praticamente impossibile o, comunque, improduttivo.
Ho approfittato dell'inverno, e della vegetazione ridotta, per effettuare diversi sopralluoghi sulle colline circostanti, ed il risultato di questi sopralluoghi è stato il seguente:
- monte Scozza
E' un'altura che sorge in prossimità della "nuova" fornace da calce; la sommità è costituita da un ampio campo solcato, diviso da parecchi muretti carsici. Vi si trova altresì una piccola fortificazione circolare, del diametro di un paio di metri, costruita a secco, che si può far risalire al primo o al secondo conflitto mondiale (probabilmente, dato l'ottimo stato di conservazione, al secondo).
Se il "castelliere di Jurcovac" si trovava sul monte Scozza, probabilmente dopo la visita di R.F. Burton è stato devastato per costruire i muretti a secco e la piccola fortificazione.
la piccola fortificazione sulla sommità del Monte Scozza
- Al di sopra della nuova fornace da calce si trova un'altra collina, a quanto ne so priva della dignità di un nome; tuttavia, anch'essa ottima candidata ad aver ospitato il castelliere.
Purtroppo questa collina è stata in parte "mangiata" dalla cava che serviva la fornace; e se sulla sommità vi è mai stao un castelliere, le pietre che lo formavano saranno state le prime a finire in pasto alla fornace, ed oggidì nulla pare esser rimasto ad indicarlo. - Parimenti, dietro alla vecchia fornace da calce si trova un'altra collina, indicata sulle carte come Pitnij Vrh, sovrastante la Grotta Lesa (145/237 VG). Anche questa collina è stata in gran parte mangiata dalla cava a servizio della fornace, ma la sommità è ancora integra (anche se vale sempre la considerazione che, eventuali pietre usate per un piccolo castelliere saranno state le prime ad esser state usate per la fornace...)
E' da segnalare che nella zona della cava si trova il Riparo delle Vipere (3573/5142 VG), anch'esso semidistrutto dalla cava, nel quale furono trovati frammenti di ceramica dell'epoca dei castellieri e (pare) un'ascia di pietra verde. - L'Ostri Vrh è una collina rocciosa, proprio di fronte alla vecchia Stazione di Aurisina.
Durante la seconda guerra mondiale ospitò numerose postazioni contraeree, a difesa delle strutture ferroviarie, e quindi qualsiasi costruzione precedente è stata senz'altro devastata. Pare che alcune fortificazioni furono realizzate già dall'esercito austro-ungarico durante la prima guerra mondiale.
Alcune di queste postazioni sono erette completamente a secco, mentre in alcune è presente del legante cementizio... il che le data incontrovertibilmente al XX secolo.
Nei pressi dell'Ostri Vrh, ai margini di un campo solcato, si trovano però i resti di un muretto, eretto con tecnica "a sacco"... sarebbe interessante approfondire le ricerche su tale manufatto.
resti di postazioni militari sull'Ostri Vrh
i resti del muretto a sacco sull'Ostri Vrh
Miglior fortuna hanno avuto invece le ricerche documentali.
Uno degli indizi fornito da R.F. Burton diceva che "it lies to the north-west of the lands called Na-Jugelcah", ovvero che "giace a nord-ovest della località Na-Jugelcah".
Un toponimo "Jugelce" indica oggi le pendici del monte Scozza (ed è questo fatto che, in un primo momento, mi aveva indirizzato a concentrare le ricerche in questa zona). Tuttavia, recuperate le mappe dell'epoca del Catasto Franceschino, ho scoperto che la località Na Jugelcah si trovava proprio di fronte alla vecchia stazione di Aurisina; ovvero, basta attraversare i binari in prossimità della vecchia stazione, e si è a "Na Jugelcah". Perciò, l'indicazione "a nordovest della località Na Jugelcah" ci porterebbe inevitabilmente in prossimità dell'Ostri Vrh.
Quindi, è in questa zona che bisogna concentrare le ricerche: se esistono ancora resti del castelliere di Jurkovac, si potranno trovare solo qui...
Se qualcuno vuole unire l'utile al dilettevole, e concentrare le sue prime ricerche di asparagi nella zona, chissà che non si imbatta in qualche resto di questo fantomatico castelliere...
Può sempre aiutarsi con questa mappa, dove ho riassunto la situazione:
Visualizza Ricerca del castelliere di Jurcovac - 2 in una mappa di dimensioni maggiori
Fortezza Hermada 1915-1917
Sabato 27 marzo alle ore 12.00, nell'ambito della manifestazione "Primavera al Castello", presso il Castello di Duino avverrà la presentazione del volume "Fortezza Hermada", di Franco Todero.
L'Hermada costituì, durante la prima guerra mondiale, un insuperabile baluardo, contro il quale si infransero vanamente gli assalti dei soldati italiani.
L'esercito austro-ungarico lo aveva infatti trasformato in una agguerrita e munitissima fortezza, dotata di artiglierie impressionanti per numero e potenza. Gran parte di queste strutture, pur a distanza di un secolo e nonostante la rigogliosa vegetazione, sono tuttora identificabili.
Questo agile volume costituisce una validissima guida storico-escursionistica della zona dove, letteralmente, sotto ad ogni sasso e dietro ad ogni albero è possibile ritrovare piccole ed anonime testimonianze di quei tristi eventi.
domenica 14 marzo 2010
la pioggia di sesterzi
Le storie dei cercatesori raramente sono a lieto fine.
Ce ne sono tante, spesso affascinanti... ma ben poche si concludono con l'effettivo ritrovamento dell'agognato tesoro.
Capita invece che talvolta i tesori vengano ritrovati da chi non li sta cercando...
Qualcosa del genere accadde nel secondo dopoguerra, durante la costruzione della strada che collega Fernetti con Zolla.
Per sbancare la roccia venivano usate delle mine.
Ed avvenne che, in seguito all'esplosione di una di queste mine, una grande quantità di monete romane fu scaraventata in aria e ricadde tutto attorno.
Evidentemente, la mina aveva brutalmente risvegliato dal suo sonno millenario un vero e proprio tesoro, occultato da chissà chi...
Vi fu una corsa all'accapparramento da parte di tutti i presenti, e ben poche di queste monete furono poi consegnate alla Sovrintendenza...
Il tutto, avvenne una cinquantina di metri ad est del ponte sopra alla ferrovia, in prossimità di Zolla.
Ce ne sono tante, spesso affascinanti... ma ben poche si concludono con l'effettivo ritrovamento dell'agognato tesoro.
Capita invece che talvolta i tesori vengano ritrovati da chi non li sta cercando...
Qualcosa del genere accadde nel secondo dopoguerra, durante la costruzione della strada che collega Fernetti con Zolla.
Per sbancare la roccia venivano usate delle mine.
Ed avvenne che, in seguito all'esplosione di una di queste mine, una grande quantità di monete romane fu scaraventata in aria e ricadde tutto attorno.
Evidentemente, la mina aveva brutalmente risvegliato dal suo sonno millenario un vero e proprio tesoro, occultato da chissà chi...
Vi fu una corsa all'accapparramento da parte di tutti i presenti, e ben poche di queste monete furono poi consegnate alla Sovrintendenza...
Il tutto, avvenne una cinquantina di metri ad est del ponte sopra alla ferrovia, in prossimità di Zolla.
venerdì 12 marzo 2010
L'abitato protostorico di Duino Stazione
Meglio forse sarebbe scrivere "il PRESUNTO abitato protostorico di Duino Stazione", perchè l'area non è mai stata oggetto di scavi archeologici, e quindi non c'è la certezza che si tratti effettivamente di un abitato protostorico... anche se supporlo è ragionevole.
Tuttavia, potrebbe trattarsi di un accampamento temporaneo, o di un recinto per animali, o comunque di una struttura esterna, sussidiaria alla comunità che viveva in uno dei castellieri della zona.
Fino a quando non verranno effettuati studi più approfonditi, sarà impossibile pronunciarsi con certezza.
E' stato scoperto molto recentemente, nel 2004, da Federico Bernardini. E le circostanze di tale scoperta sono l'ennesima dimostrazione che in Carso i rinvenimenti, in genere, sono riservati, oltre che ai fortunati, a chi abbia "occhi per vedere".
Durante un sopralluogo, Federico Bernardini ha rinvenuto dei frammenti di pietra, che ha rinosciuto essere non dei normali "sassi", ma frammenti di una "macina a sella" (*) in trachite dei Colli Euganei.
Certamente, la differenza cromatica avrà aiutato... ma non si può far a meno di ammirare chi, in una pietraia carsica, è in grado di riconoscere in una pietra diversa dalle altre un frammento di macina.
Una volta rinvenuta questa macina, un'ispezione attenta dei dintorni ha portato ad individuare i probabili resti di una cinta in muratura protostorica, eretta con caratteristica tecnica "a sacco".
Anche qui, bisogna ammettere che riconoscere i resti di tali strutture non deve esser stato assolutamente semplice. Pur sapendo bene cosa e dove cercare, io ho personalmente faticato parecchio per riconoscerle.
Se quindi decidete di visitarlo, non aspettatevi di poterlo individuare facilmente ma, soprattutto, non aspettatevi grandi cose... oltre all'innegabile fascino che una struttura del genere conserva nel tempo.
Per raggiungerlo: partendo dalla vecchia stazione ferroviaria di Duino (oggi abbandonata), prendiamo il sentiero che porta in direzione dell'Hermada.
Poco dopo aver superato il sovrapasso ferroviario, là dove il sentiero curva decisamente a sinistra, sulla destra troveremo due sentieri che si dipartono. Sono stati oggetto di rcenti lavori di allargamento e sistemazione, e quindi sono oggi delle vere e proprie strade forestali.
Seguiamo quella più a destra per qualche centinaio di metri, fino a che non vedremo una evidente curva ad "S". Subito dopo dopo la curva, sulla destra, si può esservare un lungo ed evidente affioramento roccioso, pur parzialmente occultato dalla vegetazione.
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Sfruttando parte di questo affioramento roccioso è stato eretto un lato del recinto dell'abitato protostorico. Una volta individuatane una parte, seguendola sarà possibile percorrerne (sia pur con qualche difficoltà) tutto il perimetro.
L'area recintata è lunga complessivamente una quarantina di metri, e nel punto più largo misura una ventina di metri.
E' possibile riconoscere tre distinti ingressi; è interessante osservere che, attraverso ognuno, passa una traccia di sentiero... segno che, a tutt'oggi, vengono riconosciuti dagli animali come punti di passaggio privilegiato.
Proprio a fianco dell'ingresso di nord-ovest, su una roccia del solcato carsico si trova una evidente coppella.
Naturale o artificiale? Difficile dirlo...
Per approfondire:
- Album fotografico completo
- Federico Bernardini: "UNA NUOVA MACINA PROTOSTORICA IN TRACHITE DEI COLLI EUGANEI RINVENUTA NEI PRESSI DELLA STAZIONE FERROVIARIA DI DUINO NEL CARSO TRIESTINO"- in "Atti e Memorie della Commissione Grotte Eugenio Boegan, vol. 40 (2004)
(*) La "macina a sella" è uno strumento antico e primitivo, usato per macinare il grano e produrre quindi farina.
E' costituito da due parti: una pietra inferiore, più larga, detta "macina inferiore", ed una più piccola, detta "molinello". Impugnando il molinello con due mani e trascinandolo sulla macina inferiore, venive prodotta la farina.
Le caratteristiche della pietra utilizzata per produrre macina sono essenziali, in quanto deve essere dura e scabrosa.
La trachite dei Colli Euganei era particolarmente adatta, e quindi nella protostoria vennero fatti ampi commerci di questi manufatti. Tant'è che il rinvenimento di macine con queste caratteristiche in vari siti italiani, ed anche in alcuni castellieri del Carso e dell'Istria, è stata tutt'altro che episodica.
Questo genere di manufatti viene fatto risalire al periodo dal VII al V secolo a.C.
giovedì 25 febbraio 2010
E' nato carsosegreto.it
Una piccola novità: da oggi questo blog è raggiungibile con l'indirizzo www.carsosegreto.it
Continua a funzionare anche il "vecchio" indirizzo carsosegreto.blogspot.com (la piattaforma resta sempre blogspot), dovrebbero funzionare anche tutti i vecchi link (ma il condizionale è sempre d'obbligo, in questi casi).
Carsosegreto.it è un po' più facile da ricordare e suona meglio...
Continua a funzionare anche il "vecchio" indirizzo carsosegreto.blogspot.com (la piattaforma resta sempre blogspot), dovrebbero funzionare anche tutti i vecchi link (ma il condizionale è sempre d'obbligo, in questi casi).
Carsosegreto.it è un po' più facile da ricordare e suona meglio...
mercoledì 3 febbraio 2010
A zonzo in Carso con il GPS
Il GPS è uno strumento che fornisce all'escursionista maggior sicurezza - e questo per chi frequenta il Carso è un vantaggio relativo, perché tutto sommato se uno riesce a smarrirsi nel nostro territorio significa che avrebbe dovuto dedicarsi ad attività più proficue, come giocare a scacchi o fermarsi ad ammirare il panorama dal tavolo della prima "osmizza"...
Lasciando quindi il discorso "maggior sicurezza" all'escursionismo in terreni più vasti ed impervi, resta un altro innegabile vantaggio: il GPS apre nuovi orizzonti alla ricerca sul territorio, cambiando completamente le tecniche dell'"andare a zonzo".
Il GPS permette infatti di ritrovare punti specifici con maggior facilità, evitando le lunghe e faticose battute in mezzo alla boscaglia alla ricerca, talvolta infruttuosa, di una grotta, di un manufatto, di quella certa dolina dove...
(Il che, ripensandoci, non è detto che sia un vantaggio: queste battute, sia pur lunghe e faticose, sono utilissime per la conoscenza capillare del territorio... e costituiscono in definitiva un bagaglio di piacevoli ricordi).
Ma il GPS permette anche di esplorare il territorio in maniera più proficua, più totale, analizzando le "tracce" dei nostri percorsi e verificando quindi quali zone abbiamo saltato nelle nostre ricerche, e decidere quindi di tornare ad esplorarle... ogni cespuglio, ogni dolina ci riserva una sorpresa, in Carso.
E poi, le "tracce" dei nostri percorsi, analizzate poi con calma al PC, costituiscono assieme a foto e filmati uno "strumento della memoria" per rivivere a posteriori le nostre escursioni...
Tutto questo, per segnalarvi un'interessante risorsa, resa gratuitamente disponibile sul sito sentierinatura.it, dove è possibile scaricare tutta la cartografia regionale 1:25000 in formato compatibile per GPS Garmin.
Un grazie all'autore Ivo Pecile per l'ottimo lavoro.
Sullo stesso sito, è altresì disponibile un interessante guida a chi voglia realizzare mappe per GPS Garmin, utilizzando come base la cartografia regionale.
A proposito, sapete che la Regione Friuli Venezia Giulia rende disponibili gratuitamente on line tutti la Carta Tecnica Regionale (scala 1:5000) e la Carta Regionale Numerica (scala 1:25000) ?
Basta andare sul sito http://irdat.regione.fvg.it/CTRN/ricerca-cartografia/ , scegliere l'elemento che interessa e scaricarselo nel formato preferito.
E, se preferite le classiche e tradizionali mappe cartacee a queste diavolerie del GPS, potete stamparvela tranquillamente...
Buona passeggiata!
martedì 2 febbraio 2010
il castelliere di Elleri
Il castelliere di Elleri si trova sulla sommità del Monte Castellier, a cavallo del confine italo-sloveno.
Vi si accede attraverso un comodo sentiero, ben tracciato e ben segnalato, dalla frazione di Santa Barbara (Muggia).
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Si distingue dai castellieri carsici per esser stato edificato totalmente in arenaria, e non in calcare.
Del diametro di un centinaio di metri, tagliato in due dal confine di stato, nella parte italiana furono effettuati massicci scavi archeologici, che sono stati recentemente valorizzati con una serie di cartelli e passerelle di legno che li illustrano e permettono di comprendere pienamente nel corso della visita la struttura completa del castelliere.
La sua importanza risiede nel fatto di esser stato uno dei castellieri caratterizzato da una frequentazione molto ampia, che copre praticamente tutta l'epoca del bronzo e prosegue anche nell'epoca romana.
Fu quindi studiato dapprima dal Kandler, poi da Karl Moser, poi dal Marchesetti, ed infine da Benedetto Lonza.
Ma furono gli scavi svolti dalla Società per la Preistoria e Protostoria del Friuli Venezia Giulia tra il 1976 ed il 1981 che diedero i risultati più interessanti, evidenziando tutta una serie di strutture murarie, un forno, oltre al rinvenimento di innumerevoli reperti.
Di tali scavi, condotti da Dante Cannarella, conservo un ricordo personale.
Allora adolescente, diedi un piccolo contributo all'immane lavoro di ricostruzione e riordino dei reperti raccolti durante gli scavi.
I reperti erano frammenti di cocci, che erano stati raccolti separatamente per zone e strati, ed infine stipati in sacchetti, a loro volta conservati in fustini da detersivo. Un sacchetto alla volta veniva aperto ed il contenuto sparso su un grande tavolo... e cominciava la caccia al tesoro. Si partiva da un pezzo, lo si studiava, si cercava qualche pezzo che, per grana e colore, potesse appartenere allo stesso manufatto, si tentava di far coincidere i pezzi in qualche maniera... e si procedeva in tal modo alla ricostruzione, almeno parziale, dei reperti.
Immaginate un gigantesco gioco di pazienza, realizzato mescolando i pezzi di centinaia di puzzle differenti, e sottraendone però anche una buona metà... un lavoro certosino, che richiedeva ore ed ore di impegno ed attenzione, e svolto (ovviamente) rigorosamente gratis.
Alla fine, ci si ritrovava spesso con un vasetto rabberciato in maniera precaria con colla Vinavil, a cui mancavano una metà dei pezzi... ma se il profilo era completo, tanto bastava perchè si potesse ricostruirne graficamente la forma completa o, se ne valeva la pena, effettuarne un restauro ricostruendo le parti mancanti.
Si raccoglievano poi le parti avanzate, che non erano state utilizzate per alcuna ricostruzione, e si riponevano nuovamente in sacchetti... e si passava ad un altro fustino, mentre lo sguardo cadeva sulla stanza a fianco, che conservava innumerevoli altri fustini in attesa di esser a loro volta aperti e riordinati.
Capitava anche che, all'apertura di un sacchetto, ci si ritrovasse con uno o più pezzi dall'aria familiare... si tornava quindi a recuperere e riaprire uno dei sacchetti già esaminati e nuovamente richiusi, per ritrovare talvolta qualche pezzo gemello... o più spesso inutilmente, perchè la sensazione di "già visto" che ci dava il reperto era in realtà fallace.
Lavoro pesante, impegnativo... ma senz'altro appagante. La soddisfazione di ricostruire, anche solo parzialmente, un manufatto protostorico è una sensazione unica ed impossibile da descrivere, che ripagava ampiamente le ore di impegno necessarie.
Continuando il breve excursus sul castelliere di Elleri: tra i vari reperti, venne rinvenuta anche una stele in arenaria, di epoca romana, con la scritta:
HAEC LEX LATA
EST FERSIMO QVEM SI QVIS VOLET
Altri reperti di epoca romana hanno permesso di determinare la presenza nell'area di un tempio mitraico, oggidì probabilmente completamente distrutto.
Gli scavi nel prato poco distante hanno restituito una trentina di tombe con copertura in arenaria, risalenti all'età del ferro, completi dei relativi corredi funebri: si tratta dell'unica necropoli protostorica individuata nel nostro territorio.
Vi si accede attraverso un comodo sentiero, ben tracciato e ben segnalato, dalla frazione di Santa Barbara (Muggia).
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Si distingue dai castellieri carsici per esser stato edificato totalmente in arenaria, e non in calcare.
Del diametro di un centinaio di metri, tagliato in due dal confine di stato, nella parte italiana furono effettuati massicci scavi archeologici, che sono stati recentemente valorizzati con una serie di cartelli e passerelle di legno che li illustrano e permettono di comprendere pienamente nel corso della visita la struttura completa del castelliere.
La sua importanza risiede nel fatto di esser stato uno dei castellieri caratterizzato da una frequentazione molto ampia, che copre praticamente tutta l'epoca del bronzo e prosegue anche nell'epoca romana.
Fu quindi studiato dapprima dal Kandler, poi da Karl Moser, poi dal Marchesetti, ed infine da Benedetto Lonza.
Ma furono gli scavi svolti dalla Società per la Preistoria e Protostoria del Friuli Venezia Giulia tra il 1976 ed il 1981 che diedero i risultati più interessanti, evidenziando tutta una serie di strutture murarie, un forno, oltre al rinvenimento di innumerevoli reperti.
Di tali scavi, condotti da Dante Cannarella, conservo un ricordo personale.
Allora adolescente, diedi un piccolo contributo all'immane lavoro di ricostruzione e riordino dei reperti raccolti durante gli scavi.
I reperti erano frammenti di cocci, che erano stati raccolti separatamente per zone e strati, ed infine stipati in sacchetti, a loro volta conservati in fustini da detersivo. Un sacchetto alla volta veniva aperto ed il contenuto sparso su un grande tavolo... e cominciava la caccia al tesoro. Si partiva da un pezzo, lo si studiava, si cercava qualche pezzo che, per grana e colore, potesse appartenere allo stesso manufatto, si tentava di far coincidere i pezzi in qualche maniera... e si procedeva in tal modo alla ricostruzione, almeno parziale, dei reperti.
Immaginate un gigantesco gioco di pazienza, realizzato mescolando i pezzi di centinaia di puzzle differenti, e sottraendone però anche una buona metà... un lavoro certosino, che richiedeva ore ed ore di impegno ed attenzione, e svolto (ovviamente) rigorosamente gratis.
Alla fine, ci si ritrovava spesso con un vasetto rabberciato in maniera precaria con colla Vinavil, a cui mancavano una metà dei pezzi... ma se il profilo era completo, tanto bastava perchè si potesse ricostruirne graficamente la forma completa o, se ne valeva la pena, effettuarne un restauro ricostruendo le parti mancanti.
Si raccoglievano poi le parti avanzate, che non erano state utilizzate per alcuna ricostruzione, e si riponevano nuovamente in sacchetti... e si passava ad un altro fustino, mentre lo sguardo cadeva sulla stanza a fianco, che conservava innumerevoli altri fustini in attesa di esser a loro volta aperti e riordinati.
Capitava anche che, all'apertura di un sacchetto, ci si ritrovasse con uno o più pezzi dall'aria familiare... si tornava quindi a recuperere e riaprire uno dei sacchetti già esaminati e nuovamente richiusi, per ritrovare talvolta qualche pezzo gemello... o più spesso inutilmente, perchè la sensazione di "già visto" che ci dava il reperto era in realtà fallace.
Lavoro pesante, impegnativo... ma senz'altro appagante. La soddisfazione di ricostruire, anche solo parzialmente, un manufatto protostorico è una sensazione unica ed impossibile da descrivere, che ripagava ampiamente le ore di impegno necessarie.
Continuando il breve excursus sul castelliere di Elleri: tra i vari reperti, venne rinvenuta anche una stele in arenaria, di epoca romana, con la scritta:
HAEC LEX LATA
EST FERSIMO QVEM SI QVIS VOLET
Altri reperti di epoca romana hanno permesso di determinare la presenza nell'area di un tempio mitraico, oggidì probabilmente completamente distrutto.
Gli scavi nel prato poco distante hanno restituito una trentina di tombe con copertura in arenaria, risalenti all'età del ferro, completi dei relativi corredi funebri: si tratta dell'unica necropoli protostorica individuata nel nostro territorio.
domenica 31 gennaio 2010
la leggenda della Grotta Fioravante
La Grotta Fioravante (catasto 411/939VG) è una delle tante cavità scomparse o distrutte in questi ultimi decenni.
Si trovava nell'ex Parco dei Cervi dei Principi di Torre e Tasso, sul fianco di una dolinetta.
Alcuni scavi, condotti dal Moser, furono molto promettenti; tuttavia nel corso della prima guerra mondiale venne pesantemente modificata a scopi militari, ed al termine del conflitto era già pesantemente compromessa. Fu definitivamente distrutta negli anni '50, allorchè venne utilizzata come discarica dai militari del Governo Militare Alleato che occupavano il Castello di Duino; pare che ad un certo punto la volta crollò, e della grotta non rimase più traccia.
Al di là del suo interesse paleontologico (ahimé, non più verificabile), l'aspetto più curioso è quello del nome: Grotta Fioravante.
Si richiama all'eroe Fioravante, protagonista del romanzo medievale "I Reali di Francia", di Andrea da Barberino (più noto per esser l'autore de Il Guerrin Meschino). "I Reali di Francia" fu popolare per secoli, fino al XIX secolo.
L'eroe Fioravante venne rinchiuso dal re saraceno Balante in una prigione sotterranea. Ma con l'aiuto di Drusolina, figlia del re Balante, Fioravante riuscì a fuggire e, attraverso un sotterraneo lungo cinque miglia, a raggiungere il suo castello di Monfalcone.
Durante la fuga nel sotterraneo, a metà strada Fioravante trovò una statua bronzea di Carlo Magno che impugnava una spada, destinata al miglior cavaliere, e Fioravante ovviamente se ne impossessò.
Fu facile per il popolino identificare il vecchio castello di Duino con quello del re Balante, il castello di Monfalcone con l'omonima rocca, e la prigione di Fioravante con quella misteriosa grotta... che si guadagnò così il prestigioso nome.
Secondo la leggenda la favolosa spada di Fioravante è adesso sepolta sotto il vecchio castello di Duino; generazioni di cercatori di tesori non sono riusciti però a trovarla, come pure infruttuosa è stata la ricerca della galleria che collegherebbe Duino con Monfalcone.
Per chi volesse, "I Reali di Francia" è disponibile liberamente sul sito Liberliber.
Si trovava nell'ex Parco dei Cervi dei Principi di Torre e Tasso, sul fianco di una dolinetta.
Alcuni scavi, condotti dal Moser, furono molto promettenti; tuttavia nel corso della prima guerra mondiale venne pesantemente modificata a scopi militari, ed al termine del conflitto era già pesantemente compromessa. Fu definitivamente distrutta negli anni '50, allorchè venne utilizzata come discarica dai militari del Governo Militare Alleato che occupavano il Castello di Duino; pare che ad un certo punto la volta crollò, e della grotta non rimase più traccia.
Al di là del suo interesse paleontologico (ahimé, non più verificabile), l'aspetto più curioso è quello del nome: Grotta Fioravante.
Si richiama all'eroe Fioravante, protagonista del romanzo medievale "I Reali di Francia", di Andrea da Barberino (più noto per esser l'autore de Il Guerrin Meschino). "I Reali di Francia" fu popolare per secoli, fino al XIX secolo.
L'eroe Fioravante venne rinchiuso dal re saraceno Balante in una prigione sotterranea. Ma con l'aiuto di Drusolina, figlia del re Balante, Fioravante riuscì a fuggire e, attraverso un sotterraneo lungo cinque miglia, a raggiungere il suo castello di Monfalcone.
Durante la fuga nel sotterraneo, a metà strada Fioravante trovò una statua bronzea di Carlo Magno che impugnava una spada, destinata al miglior cavaliere, e Fioravante ovviamente se ne impossessò.
Fu facile per il popolino identificare il vecchio castello di Duino con quello del re Balante, il castello di Monfalcone con l'omonima rocca, e la prigione di Fioravante con quella misteriosa grotta... che si guadagnò così il prestigioso nome.
Secondo la leggenda la favolosa spada di Fioravante è adesso sepolta sotto il vecchio castello di Duino; generazioni di cercatori di tesori non sono riusciti però a trovarla, come pure infruttuosa è stata la ricerca della galleria che collegherebbe Duino con Monfalcone.
Per chi volesse, "I Reali di Francia" è disponibile liberamente sul sito Liberliber.
domenica 24 gennaio 2010
il Cippo Comici
Il 19 ottobre 1940, a Selva di Val Gardena, in un incidente tragicamente banale in una palestra di roccia moriva Emilio Comici.
Gli amici del GARS (Gruppo Alpinistico Rocciatori Sciatori) decisero di ricordarlo erigendo un maestoso cippo, in una posizione che dominava tutta la "sua" Val Rosandra.
Il cippo in costruzione, anno 1941.
Sul cippo Ernesto BUTTI, in piedi Virgilio ZUANI detto Sonz.
Foto inedita, scattata da Mario Rauber - proprietà archivio Paolo Rauber
Il Cippo Comici divenne ben presto tradizionale meta per molte gite in Val Rosandra, anche per i semplici escursionisti; pur trovandosi in una posizione panoramica da mozzare il fiato, è molto meno difficile da raggiungere di quanto non possa sembrare: basta avere buone gambe...
Nel corso degli anni, vennero aggiunte al cippo varie targhe, in ricordo di altri alpinisti.
Ma, purtroppo, fu anche oggetto di numerosi vandalismi... peraltro, fu sempre velocemente restaurato.
Recentemente (settembre 2009) è stato anche gravemente danneggiato da un fulmine; pare tuttavia che i lavori di ripristino siano già in corso.
Per approfondire:
- Aurelio Amodeo, “IL GARS, EMILIO COMICI E LA PRIMA SCUOLA DI ROCCIA ITALIANA”, in Alpi Giulie n. 99/1
- Sergio Pirnetti, "Mezzo secolo di vita del GARS", in Alpi Giulie - 1980
- "Un fulmine distrugge il Cippo Comici", Il Piccolo, 5/9/2009
venerdì 15 gennaio 2010
il Carso: un'arida (ma non sterile) pietraia
Sul Il Piccolo del 14/1/10 è stata pubblicata una lettera dell'ex presidente dell'Area di Ricerca, Domenico Romeo con la quale, in sostanza, viene perorato l'allargamento dell'insediamento dell'Area di Ricerca "da Padriciano a Banne, estensione che servirebbe anche a “risanare” il territorio di Banne, che ha perso le caratteristiche ambientali tipiche del Carso, essendo diventato da anni un’arida pietraia."
Spiacente di contraddire il prof. Romeo, ma le caratteristiche ambientali tipiche del Carso sono proprio quelle dell'"arida pietraia"; ed i boschi di conifere (non sempre in buona salute), che costituiscono il panorama attuale sono il risultato di un esperimento (solo parzialmente riuscito) di rimboschimento, realizzato a cavallo tra XIX e XX secolo.
Quella che il prof. Romeo definisce "arida pietraia" si chiama in realtà "landa carsica" e, intervallata da boschi di latifoglie, ha costituito per oltre un millennio l'ambiente naturale del nostro altopiano.
Arida certamente sì - né potrebbe esser altrimenti, data la natura del terreno carsico. Ma tutt'altro che sterile; costituisce anzi un biotopo particolare, indispensabile per moltissime specie animali e vegetali caratteristiche della nostra zona, e preziosissimo quindi per tutelare la biodiversità e l'equilibrio ambientale.
Zone di landa carsica di dimensioni adeguate vanno quindi reintrodotte e tutelate, e non sprezzantemente liquidate come "aride pietraie".
Spiacente di contraddire il prof. Romeo, ma le caratteristiche ambientali tipiche del Carso sono proprio quelle dell'"arida pietraia"; ed i boschi di conifere (non sempre in buona salute), che costituiscono il panorama attuale sono il risultato di un esperimento (solo parzialmente riuscito) di rimboschimento, realizzato a cavallo tra XIX e XX secolo.
Quella che il prof. Romeo definisce "arida pietraia" si chiama in realtà "landa carsica" e, intervallata da boschi di latifoglie, ha costituito per oltre un millennio l'ambiente naturale del nostro altopiano.
Arida certamente sì - né potrebbe esser altrimenti, data la natura del terreno carsico. Ma tutt'altro che sterile; costituisce anzi un biotopo particolare, indispensabile per moltissime specie animali e vegetali caratteristiche della nostra zona, e preziosissimo quindi per tutelare la biodiversità e l'equilibrio ambientale.
Zone di landa carsica di dimensioni adeguate vanno quindi reintrodotte e tutelate, e non sprezzantemente liquidate come "aride pietraie".
martedì 12 gennaio 2010
il Carso: cardine tra mare ed Alpi
(clicca sull'immagine per ingrandirla) (foto di Sergio Sergas)
La foto sembra solo un illusione prospettica, ma esprime quanto nella storia Trieste ed il suo territorio siano stati un tramite tra mare e montagna.
E non solo commerciale, ma anche culturale: Trieste è famosa per i suoi alpinisti e la sua scuola d'alpinismo, per personaggi come Julius Kugy e Emilio Comici, per avere nel suo territorio il rifugio alpino più basso d'Italia (Rifugio Mario Premuda; quota... 70 metri slm!)
Si arrampica e si fa scuola in Val Rosandra ed a Prosecco, in vista del mare, e poi via verso le Alpi Giulie, le Dolomiti...
Ma quanto conosciamo veramente le montagne che ci circondano?
Vi propongo un gioco: della foto sopra, quante cime riconoscete e sapete nominare?
Ve la ripropongo con qualche riferimento in più: mettete le vostre risposte nei commenti.
Per aiutarvi, vi dirò che la foto è scattata dalla zona di Isola, e quasi perfettamente in direzione nord...
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