Quanto sia importante la figura di Richard Burton, in qualità di pionere (tra l'altro) nello studio della protostoria del Carso e dei suoi castellieri, è cosa nota ai lettori di questo blog.
Peraltro, si tratta di un personaggio che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni: esploratore, orientalista, studioso, storico, scrittore, traduttore... una di quelle figure poliedriche che solo l'800 ha saputo donarci.
Per ricordare la sua lunga permanenza a Trieste, è stata allestita una mostra documentaria: LE MILLE E UNA STORIA DI SIR RICHARD BURTON (1821-1890) - Vita nomade e fine triestina di un inglese d’oriente
La mostra (a cura di Riccardo Cepach e Michael Walton) è visitabile presso il Civico Museo Sartorio, Largo Papa Giovanni XXIII, 1 dal 21 ottobre al 21 novembre 2010.Orario: dal martedì alla domenica dalle ore 9 alle ore 13, mercoledì anche 15-19, lunedì chiuso
Ingresso libero
E' disponibile on-line il depliant illustrativo.
raccolta di curiosità, segreti e misteri (piccoli e grandi), scoperti girovagando a caso per il Carso triestino
lunedì 25 ottobre 2010
domenica 24 ottobre 2010
Dagli appunti di Alberto Puschi: Trieste Obcina - antichità e strade
Eccovi la trascrizione integrale di un'altro foglio di appunti di Alberto Puschi.
La prima pagina è priva di data, mentre quella successiva di "aggiunte e correzioni" porta la data del 31 maggio 1901.
Meritano di esser letti con attenzione, perché contengono molti spunti di ricerca degni di essere approfonditi...
Potrebbe trattarsi dell'ultima testimonianza di un piccolo castello medievale (o, più probabilmente, di un tabor), per il resto cancellato dalla memoria.
Seguono quindi alcune mie note, conseguenti anche ad una breve ricognizione sul campo.
Qui terminano gli appunti.
La nota più interessante è quella della fortificazione (probabilmente un tabor) sulla vetta del Selevec (oggi riportato sulla CTR come "Selivec").
La zona è stata letteralmente devastata nell'ultimo secolo da un'isteria di impianti: l'acquedotto, numerose linee elettriche (di alcune, ormai dismesse, si intravedono nel bosco solo i basamenti dei tralicci), ed a completare l'opera recentemente anche un'antenna per telefonia cellulare.
La vetta del Selevec/Selivec in particolare è completamente occupata dagli impianti dell'acquedotto (che sono anche recintati). Probabilmente, il tabor è stato completamente demolito e le pietre riutilizzate per le massicciate che circondano l'impianto.
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Anche delle murature che correrebbero lungo la cresta, descritte dal Puschi, non sono rimaste tracce evidenti. Certamente, alcuni raggruppamenti di pietre nel bosco in ordine un po' meno casuale di quanto ci si potrebbe aspettare lasciano immaginare che qualcosa ci sia stato... soprattutto la zona attorno alla vetta dello Hrib è ricca di ammassi di rocce che appaiono non esser frutto solo di un capriccio geologico... però anche questa zona è stata pesantemente lavorata, ed i rimboschimento rende il terreno molto meno "leggibile" di quanto non fosse all'epoca del Puschi (quella volta la zona doveva essere completamente brulla e spoglia).
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Il fatto che questo fortilizio fosse di "pietre tagliate" fa pensare a qualcosa di più di una semplice "fortificazione spontanea"; anche le dimensioni, abbastanza considerevoli (un quadrato di trenta metri di lato) potrebbero indicare che si trattava di qualcosa più di un tabor.
La posizione, indubbiamente "importante", lascia ragionevolmente supporre che in passato vi sia stato quasi certamente un castelliere, e forse anche un fortilizio romano. Questo potrebbe poi esser stato riadattato in epoca medievale, ed usato come tabor. Questo spiegherebbe anche la presenza, almeno nella parte più bassa delle mura (viste dal Puschi), di "pietre tagliate".
Il muraglione doppio e parallelo, che formava un corridoio largo due metri lungo due lati, probabilmente era un pasaggio forzato per meglio difendere l'accesso.
Non è chiara la funzione del lato semicircolare verso sud-est: forse il piede di una torre?
Allo stato attuale dei luoghi, non credo che sia più possibile alcuna indagine che possa fornirci indicazioni più attendibili.
Alcune note per aiutare chi voglia orientarsi in una ricerca "sul campo":
La prima pagina è priva di data, mentre quella successiva di "aggiunte e correzioni" porta la data del 31 maggio 1901.
Meritano di esser letti con attenzione, perché contengono molti spunti di ricerca degni di essere approfonditi...
Potrebbe trattarsi dell'ultima testimonianza di un piccolo castello medievale (o, più probabilmente, di un tabor), per il resto cancellato dalla memoria.
Seguono quindi alcune mie note, conseguenti anche ad una breve ricognizione sul campo.
Trieste Obcina - antichità e strade
Presso il cimitero del villaggio vedonsi dei solchi impressi nel sasso di una strada che dirigevasi, a quanto sembra, alla volta di Bane e doveva esser ancora più elevata della vecchia strada, detta Goriziana, sulla china (?) dei monti che prospetta il Carso. I solchi distano m. 1.25 l'uno dall'altro.
A destra della strada Obcina-Repentabor, dopo passata la linea ferroviaria e prima di raggiungere la depressione di Percedol, in prossimità alla strada scorgonsi in un sentiero campestre i solchi di antica strada distanti l'uno dall'altro m. 1.25 nella direzione di Greco a Libeccio, in modo che questa strada o si univa o attraversava l'attuale.
Dall'obelisco verso Maestro il primo monte della costiera è detto Selevec e dividesi in tre sommità, delle quali più alta è quella ove fu costruita la vedetta Ortensia. Recandosi da Obcina all'estremità occidentale di questo monte, ove una sella lo divide dall'altro detto Hrib, si scorgono le fondamenta di una muraglia grossa circa m. 1 che dal monte dirigesi verso il cosiddetto bosco Volpi, e viene a trovarsi a S.SOv. di Repentabor.
La sella tanto sulla china del Selevec, quanto su quella dello Hrib presenta avanzi di muraglie, che da quanto si scorge sono costruite senza cemento, che sono orientate da Scirocco a Maestro, et unite con altre da Greco a Libeccio, tutte di grosse pietre tagliate, le quali racchiudono degli spazi quadrilateri. Questi avanzi di costruzioni si protendono sino al punto ove il monte precipita a scendere ripido verso il mare.
Rimarchevole è una muraglia la quale da questa sella percorre il Selevec sul lato che prospetta il mare, in direzione di Ponente a Levante grossa da m. 1.30 at 1.50, sino alla sommità maggiore della vedetta. Alla quale sono addossati (sic!) altre costruzioni, una delle quali sembra di forma semicircolare e pare sia di una torre, mentre le altre comprendono degli spazi quadrangolari, abbastanza vasti.
Vi trovasi anche qualche pezzo di laterizio romano.Gli edificiI muri scarseggiano (?) nella parte occidentale del monte, preponderantemente (?) da quella parte che guarda a manca (?), mancano invece quasi affatto sulle due sommitàmaggioriorientali, ove invece troviamo una cinta murale, come di un castellaro alla quale si unisce la muraglia principale, che vista alla superficie sembrerebbe costruita di grosse pietre non tagliate. La china che fronteggia il mare è detta Reber (?). Dalla parte opposta verso il villaggio, alle falde del monte si ravvisano ancora i segni d'un lungo muro, che da questo mi dissero corre più in là dell'Obelisco sino alla contrada di Padrich, detta [illeggibile].
A sinistra del sentiero Stefania, andando a Prosecco, pochi passi sotto havvi un sitto detto Romankova Ronna, prato romano ove furono trovati e in terra si trovano laterizi romani, embrici e rottami di vasi.
Frequenti sono in tutti questi paraggi le tracce di antiche cal[illeggibile - presumibilmente calcinaie], nelle quali certamente si sarà consumata una parte del materiale di queste rovine. Questo prato è inclinato a destra [?] strada di Stefania s'estende per circa cento metri sul pendio del monte, il quale tutto all'intorno è distinto col nome di Reber (costruzioni).
Presso Obcina sarebbe stato rinvenuto un martello di pietra verde, che la guida Antonio Vremez mi disse di aver donato a certo Vichichi impiegato del dipartimento forestale della luogotenenza di Trieste.
Presso Contovello sotto la via Vicentina havvi località con rovine di case, che viene appellata Starasello. La chiesa di Obcina è consacrata a S. Bartolomeo, gli abitanti anticam. recavansi alla solennità di S. Giovanni di Duino.
21 maggio 1901. Aggiunte correzioni:
Circa trenta metri a N. Ov. del punto trigonometrico, havvi uno spazio piano cinto di muraglia grossa più d'un metro (metro 1.20), conosciuta col nome di Šanza [?] (Sehanze [?]), il quale ha la forma di un quadrilatero col lato che prospetta la sommità arrotondato, come l'abside di una chiesa. I lati retti sono lunghi trenta metri, quello che prospetta a marina [?] è semplice, laddove quello volto verso la villa e l'altro opposto al curvo sono doppi, consistenti di due muraglie d'eguale grossezza parallele e distanti l'una dall'altra due metri. La direzione di questi muri è da maestro a scirocco e da greco a libeccio. Sono formati di pietre tagliate, ma da quanto vedesi alla sommità senza cemento.
La grande muraglia sul dorso del Selevec comincia sotto questo fortilizio nella sella che unisce la vetta di scirocco, che è la più alta, colla vetta mediana e si estende oltre le due vette di maestro sino alla sella che congiunge questo monte col Hrib. Il terriccio non è nero, pochi sono i rottami, i quali, per quanto osservai, mi sembravano di genere medievale. Converrà fare altre indagini, gli abitanti dicono che questo fortilizio fu costruito a difesa contro i Turchi. Recandomi alla sella tra il Hrib ed il Selevec osservai chiaramente distinta la linea di una strada che conduceva diretta da oriente a ponente fino ai casolari che colà ancora si scorgono, presso i quali il terriccio è nero. Probabilmente da qui si scendeva al prato romano sul quale nei giorni 30 e 31 di maggio feci praticare degli assaggi su d'una superficie di ben 400 m.q. trovando innumerevoli rottami di anfore, vasi e tegole di laterizio romano fra cui un pezzo di collo colla marca [...], una fusaiuola, qualche pezzo di pietra arenaria tagliata (il terr. è calcare e la roccia s'incontra a 30 cm.-40 cm. di fondezza) ma nessuna traccia di costruzione e nemmeno calcinacci.
Qui terminano gli appunti.
La nota più interessante è quella della fortificazione (probabilmente un tabor) sulla vetta del Selevec (oggi riportato sulla CTR come "Selivec").
La zona è stata letteralmente devastata nell'ultimo secolo da un'isteria di impianti: l'acquedotto, numerose linee elettriche (di alcune, ormai dismesse, si intravedono nel bosco solo i basamenti dei tralicci), ed a completare l'opera recentemente anche un'antenna per telefonia cellulare.
La vetta del Selevec/Selivec in particolare è completamente occupata dagli impianti dell'acquedotto (che sono anche recintati). Probabilmente, il tabor è stato completamente demolito e le pietre riutilizzate per le massicciate che circondano l'impianto.
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Anche delle murature che correrebbero lungo la cresta, descritte dal Puschi, non sono rimaste tracce evidenti. Certamente, alcuni raggruppamenti di pietre nel bosco in ordine un po' meno casuale di quanto ci si potrebbe aspettare lasciano immaginare che qualcosa ci sia stato... soprattutto la zona attorno alla vetta dello Hrib è ricca di ammassi di rocce che appaiono non esser frutto solo di un capriccio geologico... però anche questa zona è stata pesantemente lavorata, ed i rimboschimento rende il terreno molto meno "leggibile" di quanto non fosse all'epoca del Puschi (quella volta la zona doveva essere completamente brulla e spoglia).
Visualizza Carso segreto in una mappa di dimensioni maggiori
Il fatto che questo fortilizio fosse di "pietre tagliate" fa pensare a qualcosa di più di una semplice "fortificazione spontanea"; anche le dimensioni, abbastanza considerevoli (un quadrato di trenta metri di lato) potrebbero indicare che si trattava di qualcosa più di un tabor.
La posizione, indubbiamente "importante", lascia ragionevolmente supporre che in passato vi sia stato quasi certamente un castelliere, e forse anche un fortilizio romano. Questo potrebbe poi esser stato riadattato in epoca medievale, ed usato come tabor. Questo spiegherebbe anche la presenza, almeno nella parte più bassa delle mura (viste dal Puschi), di "pietre tagliate".
Il muraglione doppio e parallelo, che formava un corridoio largo due metri lungo due lati, probabilmente era un pasaggio forzato per meglio difendere l'accesso.
Non è chiara la funzione del lato semicircolare verso sud-est: forse il piede di una torre?
Allo stato attuale dei luoghi, non credo che sia più possibile alcuna indagine che possa fornirci indicazioni più attendibili.
Alcune note per aiutare chi voglia orientarsi in una ricerca "sul campo":
- il "prato romano" citato da Puschi è la zona di "Campo Romano", oggi occupata dalle casette costruite dal Governo Militare Alleato. Qualsiasi giacimento archeologico è stato ovviamente definitivamente distrutto.
- Puschi nei suoi appunti usa indicare le direzioni secondo la rosa dei venti.
Visto che questa consuetudine è ormai desueta e potrebbe non essere familiare a tutti, riporto le corrispondenze:
maestro nord-ovest
greco nord-est
libeccio sud-ovest
scirocco sud-est - il "punto trigonometrico" esiste tuttora (forse spostato di alcuni metri rispetto alla posizione originaria all'epoca del Puschi). Si trova all'interno del recinto che delimita il serbatoio dell'acquedotto.
Il punto trigonometrico originale è ben visibile in questa cartolina d'epoca:
- come si può vedere, la zona è vicinissima alla vedetta Ortensia; sarebbe interessante vedere se, da qualche foto "turistica" scattata da questa vedetta, e dimenticata in qualche album di famiglia, si potesse ricavare qualche informazione su questa fortificazione...
- Nella foto seguente, vediamo lo stato attuale dei luoghi:
Vediamo il massiccio terrapieno che circonda il serbatoio del'acquedotto, e che è stato con tutta probabilità realizzato con le pietre di risulta dalla demolizione delle strutture descritte dal Puschi.
Il punto trigonometrico è (probabilmente) quel pilastrino, sovrastato da un tubo metallico; poiché risulta ormai nascosto dal massiccio serbatoio dell'acquedotto, il punto trigonometrico è stato anche materializzato con un "fuori centro" (il pilastrino, circondato da una pedana, sovrastante al casotto sulla sinistra).Un dettaglio del punto trigonometrico originale.
L'angolo nord del serbatoio dell'acquedotto. In questa zona doveva trovarsi il tabor.
sabato 23 ottobre 2010
la vedetta Ortensia
Le rovine della vedetta Ortensia giacciono oggi di fronte agli impianti dell'acquedotto, sull'altura sovrastante l'"Obelisco" di Opicina.
La vedetta Ortensia fu la prima ad esser innalzata dalla Società Alpina, su progetto del presidente, l'ing. Eugenio Geiringer (che ne finanziò anche la costruzione).
Avendola progettata e costruita, è comprensibile che l'ing. Geiringer ne decise anche il nome, dedicandola alla propria moglie Ortensia.
Fu inaugurata il 23 novembre 1890, ma venne distrutta nel corso della prima guerra mondiale (non in seguito ad eventi bellici diretti, ma fu semplicemente abbattuta, come altre costruzioni sul ciglione carsico, per non fungere da possibile punto di riferimento per le artiglierie italiane).
Pare che vi sia una lontana intenzione di ricostruirla, tant'è che nel 2008 è stato fatto un "concorso di progettazione per giovani progetti-sti" proprio per "raccogliere idee" per la riedificazione di tale "vedetta panoramica".
Personalmente, devo dire che tutti i progetti partecipanti mi hanno lasciato abbastanza tiepido...
Anche il progetto vincitore, dal suggestivo nome di "coro di pietre", in realtà è solo l'ennesima riproposizione di una irreale architettura carsica, che di carsico ha però solo la materia prima: la pietra.
L'errore è che la pietra non viene usata nella maniera "tradizionale", e non ha quindi funzione strutturale, ma solo ed esclusivamente ornamentale; il risultato è una improbabile tessitura muraria a pseudo "opus incertum", oggi purtroppo molto diffusa...
La vedetta Ortensia fu la prima ad esser innalzata dalla Società Alpina, su progetto del presidente, l'ing. Eugenio Geiringer (che ne finanziò anche la costruzione).
Avendola progettata e costruita, è comprensibile che l'ing. Geiringer ne decise anche il nome, dedicandola alla propria moglie Ortensia.
Fu inaugurata il 23 novembre 1890, ma venne distrutta nel corso della prima guerra mondiale (non in seguito ad eventi bellici diretti, ma fu semplicemente abbattuta, come altre costruzioni sul ciglione carsico, per non fungere da possibile punto di riferimento per le artiglierie italiane).
La vedetta Ortensia, in tre cartoline d'epoca.
La struttura in legno retrostante, nella seconda cartolina, è un punto di riferimento cartografico, tuttora esistente
(ma inglobato nel nuovo edificio dell'acquedotto).
(ma inglobato nel nuovo edificio dell'acquedotto).
Tutto ciò che resta oggi della vedetta Ortensia.
Pare che vi sia una lontana intenzione di ricostruirla, tant'è che nel 2008 è stato fatto un "concorso di progettazione per giovani progetti-sti" proprio per "raccogliere idee" per la riedificazione di tale "vedetta panoramica".
Personalmente, devo dire che tutti i progetti partecipanti mi hanno lasciato abbastanza tiepido...
Anche il progetto vincitore, dal suggestivo nome di "coro di pietre", in realtà è solo l'ennesima riproposizione di una irreale architettura carsica, che di carsico ha però solo la materia prima: la pietra.
L'errore è che la pietra non viene usata nella maniera "tradizionale", e non ha quindi funzione strutturale, ma solo ed esclusivamente ornamentale; il risultato è una improbabile tessitura muraria a pseudo "opus incertum", oggi purtroppo molto diffusa...