Il Carso è terra di uomini, e quindi è anche terra di Storie.
E vi sono Storie grandi e Storie piccole; e quelle che si tramandano, e magari si studiano a scuola, sono le Storie grandi; ma per ogni Storia grande ci sono cento, mille piccole Storie; e non è detto che non valgano la pena di esser raccontate.
Questa è una piccola Storia. E, come tutte le piccole Storie (ma anche qualcuna delle grandi) è nata, è corsa di bocca in bocca, ed è sopravvissuta solo nella memoria di qualcuno. Quindi, non sappiamo se è andata proprio così... ma potrebbe, e tanto ci basta.
Negli anni '60 e '70 il Carso era molto frequentato da piccoli gruppi di speleologi (o “grottisti”, come amavano definirsi): esperti, meno esperti, giovani cani sciolti, esploravano e riesploravano grotte note, si arrampicavano alla ricerca di rami nascosti, scavavano e si infilavano in stretti budelli alla ricerca di nuove cavità. Raramente muniti di attrezzature adeguate, quasi sempre dotati di attrezzi artigianali (se non addirittura improvvisati), quello che animava quei giovani era lo spirito dei pionieri. Ed erano tanti che, armati di corda e lampada a carburo, riscoprivano così il fascino dell'avventura alle porte di casa.
Un'estate accadde che un gruppo di giovani speleologi, esplorando una grotta nei dintorni di Aurisina, fece una scoperta in quegli anni invero abbastanza frequente: vi trovò due bombe a mano, residuati bellici; si trattava di bombe a mano tedesche, le “Stielhandgranate”, ma comunemente chiamate “schiacciapatate” per il caratteristico manico in legno.
Possiamo immaginare l'eccitazione che tale scoperta causò nei giovani: chi avrebbe voluto portarsele a casa, chi suggeriva di provare a tirarle “per vedere se funzionavano ancora” (e perché non avrebbero dovuto? Erano in ottime condizioni...), chi nasconderle nuovamente, quasi fossero un piccolo tesoro...
Ma quelli erano ancora gli anni in cui, ogni primavera, venivano affissi tristissimi manifesti, che ritraevano bambini orrendamente mutilati, e che ammonivano a non toccare i residuati bellici. Quindi il ragazzo più grande della compagnia (forse solo un po' meno incosciente degli altri), prese la decisione più saggia: avvertire i carabinieri.
Gli altri ragazzi si dileguarono alla chetichella; lui invece si avviò di buon passo alla caserma dei carabinieri di Aurisina, che distava pochi chilometri. (Eh si: anche se parliamo di poco più di trent'anni fa, all'epoca il mezzo più diffuso per muoversi in Carso erano ancora i piedi; ed una passeggiata di pochi chilometri non spaventava nessuno).
Giuntovi, si presentò al militare di guardia, spiegandogli di aver rinvenuto due bombe a mano in una grotta nelle vicinanze.
Il militare lo accompagnò in una stanza, ove sedette ad una scrivania, rovistò in un cassetto, e vi estrasse la carta topografica della zona, che dispiegò cerimoniosamente sul tavolo.
“Dunque, lei avrebbe trovato due bombe a mano in una grotta... e dove sarebbe questa grotta?”
Il ragazzo si chinò sulla carta per studiarla, e quindi indicò un punto:
“Ecco, vicino a questo incrocio parte un sentiero... seguendolo, dopo questa curva bisogna superare un muretto, e nella seconda dolina si trova la grotta...”
Il militare guardò la mappa poco convinto:
“Ma lì non è segnata nessuna grotta!”
“E grazie! Se pensa di trovare sulla sua carta tutte le grotte del Carso, stiamo freschi! Sono più di duemila, ed a segnarle tutte sulla sua mappa ne verrebbe fuori una macchia unica! Lì ne trova segnate poche, solo le più importanti...”
Il militare lo guardò di sottecchi, infastidito dalla lezione non richiesta.
“Ed in questa grotta allora ci sarebbero due bombe a mano...”
“Ah no, non più” - lo interruppe il ragazzo - “le bombe a mano sono qui!”
E così dicendo le estrasse dal tascapane, e le posò al centro del tavolo, proprio sopra la carta topografica.
Il militare strabuzzò gli occhi, sorpreso e spaventato, e si buttò istintivamente all'indietro. Ma così facendo perse l'equilibrio e, mulinando le braccia cercando di riguadagnarlo, si afferrò alla mappa. Un attimo dopo era a terra assieme alla sedia, alla carta e ad una delle due bombe...
L'ufficiale che accorse, richiamato dal frastuono (oltre che dalle imprecazioni urlate dal militare), si divertì molto alle spiegazioni dell'accaduto, e congedò il ragazzo con una risata ed una stretta di mano.
Le bombe a mano, infine, furono fatte brillare dagli artificieri parecchio tempo dopo, assieme ad altri residuati rinvenuti sul Carso nel frattempo.
Molte altre, purtroppo, non fecero la stessa fine; ed in alcuni casi resero reali le immagini da incubo dei manifesti che ammonivano: “NON RACCOGLIETELE!”
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